La prescrizione dei tributi
Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
LA PRESCRIZIONE DEI TRIBUTI ERARIALI
(Aggiornamento aprile 2020)
1) Premessa
Prima di esaminare le varie questioni che si sono poste sulla prescrizione dei principali tributi erariali (ovvero Imposte Dirette e IVA) e le contrastanti relative risoluzioni alle quali sono pervenute sia la giurisprudenza di legittimità che quella di merito si ritiene opportuno premettere l'indicazione dei principi fondamentali che regolamentano la decadenza e la prescrizione in via generale e di poi anche con riferimento al diritto tributario.
Va innanzitutto precisato che sia la decadenza che la prescrizione comportano la perdita del diritto per l'inerzia del titolare ma tra i due istituti sussistono differenze profonde.
Invero la decadenza comporta la perdita del diritto per la violazione, entro un termine prefissato, di un onere imposto dalla legge (decadenza legale) o concordato dalle parti (decadenza volontaria) per acquisire il potere di esercitare il diritto ed ha un fine prevalentemente sociale sì che per essa non rilevano, come dispone l'art.2964 c.c., le cause di interruzione o di sospensione (previste invece per la prescrizione), salvo, per le cause di sospensione, che la legge preveda altrimenti, come per i termini per l'azione di disconoscimento della paternità da parte di interdetti (art.245 c.c.).
Pertanto, ai sensi dell'art.2966 c.c., la decadenza viene impedita e cessa unicamente con il compimento dell'atto previsto, oppure, nella materia contrattuale o se trattasi di diritti disponibili, con il riconoscimento del diritto da parte del soggetto verso il quale il diritto viene fatto valere (es. riconoscimento del debito).
Poichè, diversamente dalla prescrizione, la decadenza, come già detto, non sempre ha finalità di ordine pubblico ma può essere stabilita anche per considerazioni privatistiche, l'art. 2968 c.c. (diversamente da quanto dispone per la prescrizione l'art. 2936 c.c.) consente alle parti di modificarne la disciplina prevista dalla legge tranne che si tratti di diritti indisponibili. Nell'ipotesi di diritti indisponibili la decadenza deve essere rilevata di ufficio dal giudice ex art.2969 c.c.
Diversamente dalla decadenza che, come già detto, consiste nella perdita del diritto per la violazione di un onere (legale o convenzionale), la prescrizione consiste in una sanzione avente natura di ordine pubblico (finalizzata alla certezza del diritto) che comporta la perdita del diritto per il titolare che non lo eserciti per il tempo stabilito dalla legge.
La prescrizione sanziona l'omesso esercizio di tutti i diritti soggettivi, con esclusione dei diritti indisponibili, del diritto di proprietà e di alcuni diritti di azione (es.: petizione di proprietà ex art. 533 c.c., azione di nullità ex art.1422 c.c.). Essa costituisce un'eccezione in senso proprio e quindi, diversamente dalla decadenza legale, non è rilevabile di ufficio ma solo su specifica istanza dell'interessato da proporsi tempestivamente nel primo grado di giudizio.
Essendo l'inerzia del titolare del diritto la causa giustificativa della prescrizione, questa rimane sospesa se l'esercizio del diritto è subordinato a condizione o a termine oppure se l'inerzia è giustificata da cause previste dalla legge (rapporti tra le parti o condizioni soggettive del titolare artt. 2941 e 2942 c.c.) e viene meno se il titolare esercita il diritto o il soggetto passivo lo riconosce (artt.2943 e 2944 c.c.).
La prescrizione pertanto, a differenza della decadenza, può subire sospensione, che opera come una parentesi (cessata la causa di sospensione il termine riprende il suo decorso calcolandosi anche quello maturato prima della sospensione) o anche interruzione (cessata la causa di interruzione inizia nuovamente il decorso del termine senza calcolarsi quello decorso prima).
Il termine ordinario di prescrizione è di anni 10 ex art.2946 c.c. “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente”.
Vi sono, infatti, prescrizioni di anni 20 (es. artt.954,970,1014,1073 c.c. : estinzione dei diritti reali su cose altrui) e prescrizioni c.d. brevi (art. 2947 c.c. risarcimento del danno – 5 o 2 anni – art.2948 c.c. prescrizioni di anni 5 per vari casi tra i quali rileva quello per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” come si dirà di seguito), nonché prescrizioni c.d. presuntive previste per il credito di alcuni soggetti (per la durata variabile da sei mesi a tre anni, ex artt. 2956 e 2957 c.c.) che operano in materia processuale mediante presunzioni superabili da prova contraria.
Se il diritto del creditore è azionato in sede giudiziale ed interviene sentenza passata in giudicato (art.324 c.p.c.) alla prescrizione del diritto si sostituisce la prescrizione decennale di cui all'art. 2953 c.c. prevista per la c.d. actio judicati.
La prescrizione è istituto di diritto pubblico onde non è derogabile, prorogabile o abbreviabile e rinunciabile se non dopo che sia maturata (art.2936 e 2937 c.c.) e nemmeno rilevabile di ufficio (art.2938 c.c.) poiché deve essere eccepita dall'interessato.
Per quanto infine concerne il concorso tra decadenza e prescrizione è opportuno precisare che, come dispone l'art.2967 c.c., una volta impedita la decadenza con l'adempimento dell'onere richiesto dalla legge, il diritto rimane soggetto ai termini della prescrizione.
Come ritenuto dalle S.U. della Cassazione “...una convincente lettura dell'art.2697 c.c., in coerenza, peraltro, con la rubrica dell'art.2964 c.c., postula appunto l'affermazione dell'incompatibilità tra decorrenza del termine di prescrizione e la pendenza del termine di decadenza per l'esercizio del medesimo diritto, prevedendo che il termine di prescrizione possa iniziare a decorrere solo quando il compimento dell'atto o il riconoscimento del diritto disponibile abbiano impedito il maturarsi della decadenza” (S.U. sent. 16783/12).
In ogni caso, pur dopo il decorso del termine previsto dalla legge, la prescrizione può sempre essere fatta valere in via di eccezione dall'interessato convenuto per l'adempimento di un contratto.
2) La decadenza e la prescrizione nel diritto tributario
A) La decadenza
Nel diritto tributario la decadenza, ovvero l'omesso compimento nei termini prescritti dell'attività prevista dalla legge per acquisire il potere di esercitare il diritto di credito tributario, se riferita all'ente impositore concerne il potere di accertamento, liquidazione e iscrizione a ruolo dei tributi, se riferita al contribuente concerne la presentazione dell'istanza per l'esercizio del diritto di vedersi rimborsato un tributo versato in eccedenza o comunque versato per errore.
Nell'ipotesi di contestazione sul rispetto dei termini di decadenza, relativi alla notifica del provvedimento con cui l'ente impositore ha accertato il diritto di credito tributario o ha negato il rimborso richiesto dal contribuente, la controversia è devolutata alla giurisdizione del giudice tributario.
E' opportuno precisare che, secondo la concorde giurisprudenza del giudice di legittimità, nella materia tributaria l'eccezione di decadenza è sempre rilevabile di ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, nella sola ipotesi che riguardi l'istanza di rimborso del contribuente, e quindi sia prevista in favore dell'ente impositore, non integrando domanda nuova ex art.57 Dlgs 546/92, poichè “attiene a situazioni indisponibili determinate dall'esigenza di assicurare la stabilità delle entrate entro un periodo di tempo definito”, mentre se prevista in favore del contribuente (e quindi in danno dell'ente impositore essendo riferibile ad atto impositivo) “incide unicamente sul diritto del contribuente a non vedere esposto il proprio patrimonio, oltre un certo limite di tempo,alle pretese del fisco” onde configura eccezione in senso proprio rilevabile dal contribuente solo in primo grado ( Cass 4670/12 e 5862/13).
Per la sola decadenza, e quindi non per la prescrizione, è applicabile il principio della c.d. postalizzazione, ovvero della scissione soggettiva degli effetti della notificazione introdotto dalla famosa sentenza della Corte Costituzionale n.477/2002 e recepito nell'art.149 c.p.c., per il processo civile, nell'art. 16/5 Dlgs 546/92, per il processo tributario ed anche nel diritto sostanziale tributario per effetto della concorde giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 15298/08, 23501/11, 8298/13, 22320/14, 351/14, 2947/16). Il principio predetto non trova applicazione per la prescrizione attesa la ricettizietà degli atti unilaterali (art.1334 e 1335 c.c.).
Per il predetto principio la notificazione di un atto, se il notificante si avvale di terzi, si perfeziona per il notificante al momento della spedizione e per il destinatario al momento della ricezione, così evitandosi che il ritardo nella consegna possa danneggiare il mittente e salvaguardando anche l'interesse del destinatario a non vedersi pregiudicato il diritto di far valere tempestivamente le proprie ragioni.
B) La prescrizione
Nel diritto tributario sono previsti per tutti i tributi termini di decadenza, con poche eccezioni, quali la c.d. tassa di possesso per veicoli e i diritti doganali, tributi soggetti solo alla prescrizione, termini peraltro per taluni casi come si dirà di seguito, di entità notevolissima (anche di anni) non rinvenibile in altri settori del diritto.
Poichè, come si è già avuto modo di accennare (v. par.1), per evitare la decadenza l'ente impositore deve notificare l'atto impositivo nel termine previsto dalla legge, consegue che dopo la tempestiva notifica dell'atto esso diviene definitivo, ovvero non più contestabile, se il contribuente non lo impugna nel termine perentorio di giorni 60 concessogli dalla legge (art.21 Dlgs.546/92).
Dalla data in cui il provvedimento diviene definitivo per omessa impugnazione decorre il termine per la prescrizione previsto dalla legge per il tributo.
Per quanto concerne l'istanza di rimborso del contribuente, in caso di silenzio/rifiuto o di diniego espresso l'interessato può proporre impugnazione innanzi al giudice tributario nei termini di cui all'art.21 Dlgs 546/92 (ovvero 60 gg. in caso di diniego espresso oppure 90 gg. successivi alla presentazione dell'istanza e fino alla prescrizione del diritto in caso di silenzio/rifiuto).
Differentemente dalla decadenza che è rilevabile di ufficio (eccetto quella in favore del contribuente) la prescrizione costituisce un'eccezione in senso proprio ed è rilevabile solo in primo grado e non in appello ex art.57 Dlgs 546/92.
Nell'ipotesi che il contribuente proponga impugnazione avverso l'atto impositivo il termine della prescrizione rimane sospeso e riprende a decorrere nell'eventualità che il processo si estingua. Se invece il processo perviene alla sua naturale conclusione con il passaggio in giudicato della sentenza, al termine di prescrizione del tributo si sostituisce il termine di prescrizione della c.d. actio judicati di anni 10 decorrente dalla data del predetto passaggio in giudicato (ex art. 2953 c.c.).
Invero nel diritto tributario la prescrizione, in modo non dissimile dal diritto civile, può subire sospensione o interruzione.
L'interruzione si verifica, ad es., in seguito alla notifica di un avviso di accertamento o di una cartella di pagamento, mentre la sospensione si verifica in esito all'impugnazione di uno dei predetti atti.
Come meglio si dirà di seguito il problema della prescrizione degli atti impositivi divenuti definitivi per omessa impugnazione da parte del contribuente si pone in modo rilevante per quanto concerne i principali tributi erariali (ovvero IIDD e IVA), per i quali la legge non indica i termini di prescrizione. Poichè in tale ipotesi, come correttamente affermato dalle S.U. della Cassazione (sent. 25790709 e 23397/16), deve trovare applicazione la prescrizione prevista per il singolo tributo, si è posto (e risolto dalla giurisprudenza in senso non univoco) il problema dell'applicabilità del termine previsto per la prescrizione ordinaria oppure di quello previsto per le prestazioni periodiche
Va inoltre rilevato che, per il principio dell'unicità dell'accertamento, l'A.F. non può emettere per lo stesso fatto più atti di accertamento, con eccezione del caso in cui essa stessa annulli l'atto in autotutela avendone riconosciuto i vizi oppure, dopo la notifica, venga a conoscenza di nuovi elementi, fermo restando il rispetto dei termini per la notifica del secondo atto.
3) La decadenza e la prescrizione per le Imposte Dirette e per l'IVA
Come è ben noto per i più rilevanti tributi erariali gravanti sul contribuente, ovvero per le imposte dirette (IRPEF, IRES e IRAP che incidono su manifestazioni dirette della capacità contributiva, ovvero sul reddito) e per l'IVA (che incide su manifestazioni indirette della capacità contributiva, ovvero sulla produzione o lo scambio di beni e servizi) l'A.F. espleta controlli al fine di accertare che le imposte predette corrispondano a quanto legalmente dovuto e quindi notifica, entro termini stabiliti a pena di decadenza, le eventuali rettifiche.
I controlli che sono eseguiti dall'A.F. si suddividono in: a) controlli di merito, che vertono sull'operato del contribuente e si concludono, in ipotesi di riscontrate violazioni, con l'emissione e notifica di un avviso di accertamento, o di rettifica, esecutivo; b) controlli cartolari che hanno ad oggetto la dichiarazione del contribuente e si concludono, in caso di rilevate violazioni, con l'emissione e notifica di una cartella di pagamento.
Il controllo di merito si suddivide a sua volta in: a) controllo analitico (art.39/1 DPR 600/73 per le IIDD; art. 54 DPR 633/72 per l'IVA) se ha ad oggetto uno o più recuperi conseguenti alla violazione diretta di norme tributarie; b) controllo induttivo (art 39/2 DPR 600/73 per le IIDD; art.54 DPR 633/72 per l'IVA), se fondato su gravi inadempienze del contribuente, quali l'omessa dichiarazione o l'inattendibilità complessiva della contabilità, ipotesi questa per cui si ritiene sufficiente la presunzione semplice (v. Cass. 1555/12); c) controllo analitico/induttivo se fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti (spesometro, tovagliometro, studi di settore).
Il controllo cartolare consiste in un mero riscontro formale delle dichiarazioni dei contribuenti finalizzato alla verifica della correttezza degli adempimenti nella formulazione delle dichiarazioni.
Esso si distingue in: a) controllo c.d. automatico (art.36 bis DPR 600/73) diretto a verificare se la liquidazione delle imposte corrisponde a quanto dichiarato; b) controllo formale (art. 36 ter DPR 600/73) finalizzato a verificare se la documentazione prodotta dal contribuente giustifica la ritenute e detrazioni di imposta.
Orbene per la notifica sia degli avvisi di accertamento che delle cartelle di pagamento sono espressamente previsti dalla legge precisi termini di decadenza.
Per gli avvisi di accertamento relativi alle IIDD o all'IVA che, a differenza di quelli relativi a tributi diversi, sono esecutivi (art.29 DL 78/2010) e pertanto non necessitano di iscrizione a ruolo, è disposto (art. 43 DPR 600/73 per le IIDD e art.57 DPR 633/72 per l'IVA) che l'A.F. deve provvedere alla notifica agli interessati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Nell'ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla la notifica deve essere effettuata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Per quanto riguarda invece le cartelle di pagamento, che conseguono al controllo cartolare, è disposto che esse devono essere notificate al contribuente a pena di decadenza: a) entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme dovute in esito al controllo automatico (art.25/I lett.a DPR 602/73 e 36 bis DPR 600/73, nonché art. 57 DPR 633/72 per l'IVA); b) entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme dovute in esito al controllo formale (art.25/I lett.b DPR 602/73 e 36 ter DPR 600/73 nonché art. 57 DPR 633/72 per l'IVA).
Orbene dopo la tempestiva notifica il provvedimento, sia esso avviso di accertamento o cartella di pagamento, che comunque può sempre essere annullato ed eventualmente sostituito nei termini dall'A.F. in sede di autotutela, può essere impugnato dal contribuente, ex art.21 Dlgs 546/92, nel termine di gg.60 innanzi al giudice tributario ed essere annullato o confermato dalla sentenza passata in giudicato.
In caso di annullamento non sorge alcun problema poiché il provvedimento impugnato cessa di esistere. Invece in caso di conferma, integrale o anche parziale, esso provvedimento è sostituito dalla sentenza predetta, onde al termine di prescrizione proprio del tributo si sostituisce quello di anni 10 decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza (art. 2953 c.c., prescrizione della res judicata, in tal senso S.U. 25790/09 e 23397/16).
Il problema della prescrizione si pone invece nell'ipotesi che non sia proposta impugnazione avverso il provvedimento impositivo. In tal caso esso diviene definitivo e il credito è da considerare esigibile, onde l'A.F. può esercitare il diritto di riscuotere il tributo, diritto per il quale, però, la legge nulla dispone in ordine al relativo termine di prescrizione a differenza di quanto invece previsto per la prescrizione degli altri tributi erariali (imposta di registro: anni 10 ex art.78/DPR 131/86 - imposta ipotecaria: anni 10, ex art.13 Dlgs 347/90 – imposte di successione e di donazione: anni 10, ex artt.41 e 60 Dlgs 346/90 – diritti doganali: anni 3 ex art.84 DPR 43/73 – tassa di possesso autoveicoli: anni 3 ex art. 5 DL 953/82).
Il silenzio della legge e la più che evidente rilevanza della questione, che coinvolge i più importanti tributi erariali, ha generato contrasti nella giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, sulla applicabilità del termine di anni 10, previsto dall'art. 2946 c.c. per la prescrizione ordinaria nei casi in cui la legge non dispone diversamente, oppure del termine di anni 5, previsto per le prestazioni periodiche dall'art. 2948, comma 4, c.c. per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anni o in termini più brevi”.
Prima di esaminare il contrasto giurisprudenziale predetto va comunque rilevato che risulta da tempo superata la tesi, pure prospettata, secondo la quale dovrebbe trovare applicazione per la predetta prescrizione il termine di anni 10 previsto dal comma 6 dell'art.20 del Dlgs 112/99 per la procedura di discarico per inesigibilità delle quote di imposta nei rapporti tra ente impositore e concessionario della riscossione, anche se si deve dare atto che la stessa tesi è stata condivisa anche di recente da una isolata ordinanza della Suprema Corte (Ord. 24106/19 dep. 27/9/19).
La procedura di discarico per inesigibilità fu istituita per effetto dell'eliminazione dell' “obbligo del non riscosso come riscosso” a carico del concessionario.
Nel citato comma 6 dell'art.10 è previsto che qualora l'ente creditore individui, dopo il discarico, l'esistenza di significativi elementi di reddito o patrimonio riferibili al debitore può “a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale, effettuate le opportune valutazioni, riaffidare in riscossione al concessionario i nuovi beni da sottoporre ad esecuzione”.
Come correttamente ritenuto dalla prevalente giurisprudenza (Corte Conti Sicilia 2041/10, Corte Conti Calabria 150/11, S.U. 22951/14 e Cass. 11335/19) la detta procedura ha carattere amministrativo, concerne esclusivamente i rapporti tra concessionario ed ente creditore e non è applicabile nei rapporti con il contribuente.
Va altresì precisato che, come già accennato in precedenza, nell'eventualità che il giudizio instaurato innanzi al giudice tributario avverso il provvedimento impositivo non si concluda con la sentenza passata in giudicato ma si estingua per rinuncia agli atti del giudizio o per inattività delle parti (artt.306 e 307 c.p.c. e 1/2 Dlgs 546/92) la pronuncia di estinzione del giudizio comporta, ai sensi degli artt. 393 c.p.c. e 63/2 Dlgs 546/92 “il venir meno dell'intero processo e, in forza dei principi in materia di impugnazione dell'atto tributario, la definitività dell'avviso di accertamento” (Cass. 4574/15).
4) La giurisprudenza del Giudice di legittimità sulla prescrizione delle IIDD e dell'IVA
Da antica data il Giudice di legittimità ha affermato che, in difetto di giudicato, la prescrizione quinquennale di cui all'art.2948 n.4 c.c. opera per i tributi degli enti locali e per le sanzioni ed interessi mentre ha escluso che la predetta prescrizione prevista “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anni o in termini più brevi”, sia applicabile alla riscossione dell'IVA o delle IIDD, tributi che ha ritenuto sempre prescrivibili nel termine decennale di cui all'art.2946 c.c., e questo perchè “la prestazione tributaria...stante l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito anno per anno da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi, ed è pertanto soggetta all'ordinario termine prescrizionale di dieci anni di cui all'art.2946 c.c.” (Cass 18110/04 e 2941/07).
La tesi dell'applicabilità della prescrizione ordinaria decennale di cui all'art. 2946 c.c. per i tributi relativi alle IIDD e all'IVA veniva recepita e ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità e, in particolare, dalla sentenza della Cassazione n.4283/10 in cui veniva “esclusa ...per la mancanza di una causa debendi continuativa...l'applicabilità della prescrizione breve al credito erariale per la riscossione di imposta sul valore aggiunto (IVA) pure da pagarsi con cadenza annuale, sul rilievo che la prestazione tributaria, stante l'autonomia dei singoli periodi di imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il credito, anno per anno da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi”.
Nella stessa sentenza veniva affermata invece la incontestabile natura di prestazione periodica sia del prezzo della somministrazione di energia elettrica che di quello di acqua potabile da parte di ente pubblico “in quanto viene pagato annualmente o a scadenze inferiori all'anno in relazione ai consumi verificatisi per ciascun periodo, configurando una prestazione periodica con connotati di autonomia nell'ambito di una causa petendi di tipo continuativo (Cass. 6209/2009)”.
La natura di prestazione periodica era altresì affermata con riferimento ai tributi (imposte o tasse) dovuti agli enti locali in quanto “elementi strutturali di un rapporto sinallagmatico caratterizzato da una causa debendi di tipo continuativo suscettibile di adempimento solo col decorso del tempo in relazione alla quale l'utente è tenuto ad una erogazione periodica, dipendente dal prolungarsi sul piano temporale della prestazione erogata dall'ente impositore o del beneficio dallo stesso concesso” (Cass.4283/10).
La tesi della prescrizione ordinaria (ex ar.2946 c.c.) per i tributi erariali era ribadita nella successiva sentenza (Cass. n.22977/10) nella quale era altresì precisato che il termine predetto era da tenere ben distinto sia dal “termine di decadenza stabilito dall'art.57 del DPR 26 ottobre 1972 n.633” che è relativo alla notificazione degli avvisi di rettifica e di accertamento da parte dell'amministrazione, sia dal “termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 2948 n.4 c.c.” e decorre “ai sensi dell'art. 2935 c.c., dal momento in cui il credito diventa esigibile, e cioè dalla data in cui l'accertamento diviene definitivo per mancata impugnazione”.
Anche nelle successive sentenze la Cassazione confermava il principio della esclusione della possibilità di ravvisare la periodicità della prestazione per le IIDD e per l'IVA (Cass. 24322/14,16713/16,13418/16, 10549/19 e 28315/19) in particolare nella indicata ultima sentenza n. 28315/19, dopo la precisazione che “il termine di decadenza concerne l'esercizio del potere impositivo accertativo non già quello di riscossione” onde “esauritasi la fase di accertamento del credito tributario...non resta che applicare la disciplina della realizzazione di un credito certo, liquido ed esigibile assoggettabile all'unico limite della prescrizione decennale” veniva ritenuta esclusa l'applicabilità della “prescrizione breve di cinque anni prevista per le prestazioni periodiche, ai sensi dell'art. 2948 c.c, non potendo i crediti erariali considerarsi prestazioni periodiche in quanto il loro ammontare deriva da elementi riferibili a ciascun anno d'imposta anche in relazione alla sussistenza dei presupposti impositivi (Cass.4283/2010 e 26013/14). Consegue che, nella carenza di una espressa disposizione di legge, per detti tributi è applicabile la prescrizione ordinaria decennale (art.2946 c.c.) quale unico termine rilevante in fase di recupero”.
Invece per i tributi dovuti agli enti locali, sia imposte (ICI, TASI, ICP) che tasse (TARSU), veniva unanimemente ribadita (anche in epoca recente) la tesi della prescrizione quinquennale attesa la ritenuta loro natura di prestazione periodica nell'ambito di un rapporto caratterizzato da una causa debendi continuativa ( Cass. 20956/19 e 27317/19).
Senonchè le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a decidere in ordine alla prescrizione di crediti per contributi INPS, recati da una cartella di pagamento notificata oltre il quinquiennio previsto per la prescrizione dei detti tributi dall'art. 3/9 lett. b), L. 335/95, con la sentenza n.23397/16 confermavano il principio, già espresso dalle stesse S.U. nella sentenza 25790/09, secondo il quale la scadenza del termine perentorio per impugnare un atto di riscossione (cartella di pagamento o avviso di accertamento) produce solo l'irretrattabilità del credito e non quello di convertire il termine di prescrizione breve, eventualmente previsto, in quello decennale, di cui all'art.2953 c.c., relativo alla sentenza passata in giudicato in caso di impugnazione dell'atto.
Posta tale premessa affermavano testualmente che “Tale principio (ovvero l'inapplicabilità dell'art.2953 c.c. ndr) si applica con riguardo a tutti gli atti -comunque denominati- di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato tributarie, nonché di crediti delle Regioni...nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative...Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre opposizione, non consente di fare applicazione dell'art.2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.
Nella stessa sentenza 23397/16 venivano richiamati alcuni principi enunciati dalla Corte Costituzionale che inducevano lo stesso Giudice di legittimità (ed anche quelli di merito come si dirà di seguito) a contrastare, con alcune successive, seppure di numero limitato, decisioni, quanto dallo stesso ritenuto in altre numerose sentenze in materia di termini della prescrizione per i tributi erariali.
Veniva infatti ricordato che la Consulta, nella memorabile sentenza n.280/2005, aveva ribadito il proprio costante indirizzo secondo cui è conforme a Costituzione, e va dall'interprete ricercata, soltanto una ricostruzione del sistema tributario che “non lasci il contribuente esposto, senza limiti temporali, all'azione esecutiva del fisco” e aveva conseguentemente dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.25 DPR 602/73 (che -nella formulazione all'epoca vigente- non prevedeva alcun termine di notifica della cartella in esito all'accertamento di cui all'art.36 bis) “non essendo consentito, dall'art.24 Cost., lasciare il contribuente assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo ed irragionevole”.
E' del tutto evidente che con la indicata sentenza le S.U. non facevano altro che confermare il principio già affermato nella loro precedente sentenza 25790/09, ovvero che solo nell'ipotesi che l'atto impositivo sia impugnato e intervenga sentenza passata in giudicato il termine della prescrizione è quello dell'actio judicati di anni 10 ex art.2953 c.c., mentre in caso di atto impositivo irretrattabile, perchè non impugnato, il termine di prescrizione è quello proprio del tributo in esso contenuto. Nella predetta sentenza non era affatto affrontata la questione relativa alla prescrizione dei tributi erariali, quali le IIDD e l'IVA, per i quali la legge nulla dispone.
Tuttavia l'effettuato rinvio ai principi enunciati dalla Consulta inducevano la Cassazione a contrastare, sia pure soltanto in alcune minoritarie decisioni, quanto da essa stessa ritenuto in altre numerose sentenze.
Leggesi infatti nella sentenza n.930/18 che “la CTR ha errato nel considerare il credito erariale soggetto all'ordinario termine di prescrizione decennale a seguito di accertamento divenuto definitivo”, affermazione recepita nella successiva sentenza n.30362/18 nella quale veniva testualmente precisato che “Infatti, mentre con la nota ordinanza n.20213/15 la S.C. aveva affermato che la prescrizione quinquennale operava laddove il titolo esecutivo fosse costituito dalla sola cartella esattoriale dell'Ente della Riscossione, sicchè nelle altre ipotesi di sussistenza del credito erariale (ad esempio, la notifica dell'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate) avrebbe dovuto essere introdotta la prescrizione decennale, il nuovo orientamento ha esteso i margini difensivi del cittadino, il quale potrà chiedere al giudice l'estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve, non soltanto nei casi di cartella esattiva (art.36 bis e/o ter DPR 600/73), bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito, ecc.).”
L'affermazione era ribadita anche nella sentenza della Cassazione n.1997/18 nella quale, premessa la inesistenza di accertamento giudiziale del tributo erariale, veniva dichiarato estinto il credito tributario perchè “prescritto il diritto, azionato ben oltre il termine di prescrizione quinquennale per esso previsto”.
5) La giurisprudenza di merito sulla prescrizione delle IIDD e dell'IVA
La tesi della prescrizione quinquennale dei tributi errariali (IIDD e IVA) nella giurisprudenza della Cassazione era, ed è ancora oggi, di certo palesemente minoritaria rispetto a quella della prescrizione ordinaria, tuttavia essa, anche per l'autorevole riferimento ai principi enunciati dalla Consulta (sent.280/2005) contenuto nella sentenza S.U. 23397/16, induceva la prevalente giurisprudenza di merito a riconoscere per i predetti tributi l'applicabilità della prescrizione quinquennale prevista dall'art.2948 n.4 c.c. per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
Come si è già rilevato il Giudice di legittimità aveva escluso la possibilità di considerare i crediti erariali prestazioni periodiche “...per la mancanza di una causa debendi continuativa...derivando il credito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione riguardo alla sussistenza dei presupposti impositivi” (così già da Cass. 18110/04, 2941/07, 4283/10 e 26013/14, ma anche più di recente Cass.28359/19).
Prima però di esaminare la prevalente successiva giurisprudenza di merito sulla questione predetta non può omettersi di dare atto che già precedentemente alla citata sentenza delle S.U. 23397/16 le Commissioni Tributarie avevano ritenuto applicabile la prescrizione breve di cui all'art. 2948 n.4 c.c. ai tributi IIDD e IVA in assenza di disposizione di legge e in considerazione della ritenuta periodicità della relativa prestazione tributaria.
Già nella sentenza n.496/11 la CTR Sicilia aveva affermato che “...l'imposta diretta...rientra perfettamente nel concetto di obbligazione periodica...il debito d'imposta sorge infatti annualmente, a seguito della dichiarazione che ogni soggetto passivo deve effettuare annualmente (art.1 DPR 600/73) sia pure in presenza dei relativi presupposti...l'imposta diretta deve essere pagata periodicamente a seguito di una generale previsione legislativa, che stabilisce regole valide ed efficaci per ogni anno futuro”.
Molto efficaci e rilevanti anche le osservazioni contenute nella sentenza n.512/13 della CTP di Messina nella quale, premesso che è pacificamente riconosciuta l'applicabilità della prescrizione quinquennale di cui all'art.2948 n.4 c.c per i tributi degli enti locali e per il contratto di somministrazione dell'energia elettrica, si faceva rilevare che anche per l'IRPEF in modo non dissimile “...il tributo risulta predeterminato (dalla legge) nella sua modalità di calcolo e costituisce un obbligo annuale di contribuzione (calcolato secondo la capacità contributiva ex art.53 Cost.) rivolto alla somma dei servizi che lo Stato garantisce, o cerca di garantire, al cittadino...Nessuno, infatti, dubita che l'obbligazione di corrispondere il corrispettivo per la somministrazione dell'energia elettrica sia periodica, ma è altrettanto vero che l'importo va di volta in volta determinato in ragione del consumo, secondo parametri contrattualmente predeterminati...non può dirsi neanche, per giustificare la mancanza di continuità dei rapporti, che esista una loro separatezza per ciascun anno d'imposta derivabile da un autonomo accertamento se è vero, come è vero, che tra un'annualità e l'altra sono previsti sistemi di compensazioni, rimborsi, anticipazioni e quant'altro a dimostrazione, appunto, della loro continuità”.
I concetti esposti venivano ripresi, e ulteriormente motivati, nella sentenza depositata il 16 aprile 2014 dalla CTP di Reggio Calabria nella quale veniva affermato che la periodicità dell'obbligazione anche nelle IIDD e nell'IVA non può essere messa in dubbio “solo perchè annualmente occorre un'operazione di determinazione del dovuto, sia perchè, si ribadisce, la stessa determinazione avviene secondo dei criteri prestabiliti normativamente, sia perchè non è questo che qualifica un tal tipo di obbligazione, ma, semmai, la tenutezza a corrispondere, appunto, periodicamente un importo per delle prestazioni erogate dall'altra parte”, affermazione che veniva ulteriormente suffragata dalla considerazione che “l'obbligo per il concessionario di conservare copia delle cartelle di pagamento per la durata di cinque anni (DPR 602/73 art.26), per quanto di rilevanza contenuta, milita a sostegno di una prescrizione di pari durata”.
L'affermata natura periodica delle obbligazioni tributarie relative alle IIDD e all'IVA veniva altresì confermata dalla CTP di Prato nella sentenza n.38/2017 nella quale era evidenziato che “Sostenere (v.Cass. 13080/2011) che...la prestazione tributaria attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito anno per anno da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi...non risulta ragionevole ed è palesemente illogico, poiché ciò che muta anno per anno , non è il dovere della prestazione, ma la misura, l'entità, il quantum, da pagare – sempre anno per anno - . Pertanto anche i tributi erariali sono pienamente disciplinati nell'art. 2948 , n.4 cod.civ.”.
I medesimi contenuti venivano esposti nella maggior parte delle successive sentenze dei giudici tributari di merito, tra le quali si indicano: CTP Milano n.1466/17, CTP Avellino n.267/17, CTR Roma n.1050/17, CTR Roma n.1229/17, CTP Napoli 6871/17, CTR Genova n.572/17, CTP Milano n.4269/17, CTP Savona n.129/17, CTP Treviso n.340/17, CTP Torino n.820/17, CTP Lecco n.76/18, CTP Agrigento n. 191/18, CTR Lazio n.1416/19, CTP Roma n.6661/19.
6) Osservazioni sui contrasti giurisprudeziali
Come si è già precisato la Cassazione da antica data ha escluso l'applicabilità alle IIDD ed all'IVA della prescrizione quinquennale prevista dall'art.2948 n.4 c.c. per le prestazioni periodiche “non potendo i crediti erariali considerarsi prestazioni periodiche in quanto il loro ammontare deriva da elementi riferibili a ciascun anno d'imposta anche in relazione alla sussistenza dei presupposti impositivi” (Cass. dalla sentenza n.18110/04 fino alla più recente sent. n.28315/19).
La tesi del giudice di legittimità è stata però contrastata, come già evidenziato, oltre che da alcune minoritarie sentenze della stessa Cassazione, dalla prevalente giurisprudenza dei giudici di merito che ha rilevato che la periodicità della prestazione tributaria deve essere valutata non già in relazione al quantum del dovuto (che è comunque sempre determinato in base a criteri prefissati per legge) bensì con riferimento all'obbligo di pagare periodicamente il tributo.
Tali essendo le risultanze e i contrasti giurisprudenziali è evidente che al fine di stabilire se per i predetti tributi erariali, per i quali la legge nulla dispone specificamente in ordine alla relativa prescrizione, sia applicabile la prescrizione ordinaria di anni 10, prevista dall'art.2946 c.c. per tutti i casi salvi quelli “in cui la legge dispone diversamente”, oppure la prescrizione di anni 5 prevista dall'art.2948 n.4 c.c. per “tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anni o in termini più brevi”, è necessario esaminare in quali casi deve trovare applicazione il cit. art.2948/4 in considerazione della sua ratio e quindi se per i predetti tributi erariali esso sia applicabile o meno, residuando, in ipotesi negativa, necessariamente l'applicabilità della prescrizione ordinaria di cui all'art.2946 c.c.
A tal fine giova innanzitutto ricordare che, nell'ambito della classificazione delle imposte, viene operata, tra le altre, la distinzione tra imposte istantanee e imposte periodiche.
Imposte istantanee sono quelle che si applicano in occasione di un rapporto che non dura nel tempo ma si esaurisce immediatamente, come avviene per l'imposta di registro (o anche per l' imposta di successione e quella sulla donazione): registrato l'atto l'amministrazione liquida e incassa l'imposta e la vicenda, almeno per il momento, si chiude.
Imposte periodiche, invece, sono quelle in cui rileva il periodo d'imposta, ovvero l'arco temporale nel quale deve essere determinata l'entità della prestazione oggetto dell'obbligazione tributaria in relazione ad una attività economica che si protrae nel tempo. In pratica nelle imposte periodiche la legge indica per ogni imposta il periodo temporale al quale corrisponde l'imposta del periodo stesso.
Quello che rileva nelle imposte periodiche è non già l'entità del prelievo tributario bensì il periodo temporale nell'ambito del quale l'entità della prestazione tributaria può anche variare.
Orbene nell'ambito della categoria delle imposte periodiche rientrano le IIDD, tra cui l'IRPEF e l'IRES, per le quali l'art.7 e l'art. 76 TUIR prevedono che “l'imposta è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un'obbligazione tributaria autonoma”, nonchè l'IVA per la quale la liquidazione è effettuata su base annuale (art.54 bis DPR 633/72) sebbene i suoi presupposti maturino trimestralmente.
Non sembra superfluo ricordare che proprio la Cassazione nel lontano anno 1993 aveva affermato che “...la prescrizione breve...è suscettibile di operare solo con riferimento alle obbligazioni periodiche, e cioè a quelle obbligazioni che si caratterizzano per il fatto di essere passibili di adempimento solo con il decorso del tempo, di guisa che soltanto attraverso il protrarsi dell'adempimento nel tempo si realizza la causa del rapporto obbligatorio e può essere appagato l'interesse del creditore ad ottenere il soddisfacimento delle proprie ragioni per il tramite della ricezione di più prestazioni aventi un titolo unico e però ripetute nel tempo ed autonome le une dalle altre, nel senso che ciascuna di esse non ha con quelle precedenti e successive altro legame che non sia quello di essere fondata sul medesimo, comune rapporto giuridico; la prescrizione in questione, viceversa, non trova applicazione con riguardo alle obbligazioni unitarie, suscettibili di esecuzione così istantanea, come differita o ripartita, in cui, cioè, è, o può essere, prevista una pluralità di termini successivi per l'adempimento di una prestazione strutturalmente eseguibile, però, anche uno actu, con riferimento alle quali opera la ordinaria prescrizione decennale contemplata dall'art. 2946 cod.civ”.
Pertanto, posto che la legge tributaria prevede il versamento periodico annuale sia per le IIDD che per l'IVA, ai detti tributi, indipendentemente dall'entità pecuniaria di essi, non può che applicarsi la prescrizione di cinque anni prevista dall'art.2948, comma 4, c.c. poiché non sono logicamente comprensibili i motivi per cui dovrebbe escludersi (come opina la prevalente giurisprudenza della Cassazione) la prescrizione quinquennale per i tributi erariali mentre la stessa è pacificamente ammessa per i tributi degli enti locali (Cass.4283/10).
Se è certamente vero che i tributi locali costituiscono, per quanto concerne le imposte (ICI, TASI ecc.) il corrispettivo della generalità dei servizi resi dall'ente locale, è altrettanto vero che i tributi erariali costituiscono il corrispettivo della genericità dei servizi offerti dallo Stato. In entrambi i casi, infatti, la causa debendi, contrariamente a quanto affermato dalla Cassazione, è incontestabilmente identica e continuativa poiché la prestazione periodica (ovvero il pagamento) dei tributi è giustificata in quanto corrispettivo dei servizi periodicamente offerti dall'ente impositore (ente locale o Stato ), non essendo rilevante, a tal fine, la possibile variabilità del corrispettivo la cui determinazione, peraltro, avviene pur sempre sulla base di criteri predeterminati dalla legge (quali le aliquote IRPEF in relazione al reddito prodotto o l'entità degli scambi di beni o servizi per l'IVA o, per i tributi locali, il variare di alcuni elementi, ad es., per l'ICI la rendita catastale, il valore dell'area fabbricabile, la locazione a canone concordato ecc.)
Nè la questione si pone in termini diversi per “il prezzo di somministrazione dell'energia elettrica, che venga pagato annualmente o a scadenze inferiori all'anno, in relazione ai consumi verificatisi per ciascun periodo, con connotati di autonomia nell'ambito di una causa debendi di tipo continuativo, e deve, ritenersi, pertanto, incluso nella previsione dell'art.2948, n.4, con l'ulteriore conseguenza dell'assoggettamento a prescrizione breve quinquennale del relativo credito” (Cass. 2429/94).
Ma sussistono ulteriori motivi che inducono a ritenere l'applicabilità ai tributi erariali predetti della prescrizione quinquennale.
Premesso che, come già precisato, i tributi IIDD e IVA sono per definizione imposte periodiche, ovvero dovute periodicamente in relazione ad un'attività economica che si protrae nel tempo, giova ricordare che è di certo più ragionevole per esse ritenere l'applicabilità della prescrizione quinquennale in considerazione della ratio dell'art.2948 n. 4 c.c che è quella “di liberare il debitore dalle prestazioni scadute non richieste tempestivamente dal creditore, quando le prestazioni siano periodiche, in relazione ad una causa debendi continuativa” (v. Cass. 862/88), poiché generalmente il creditore è a conoscenza dell'attività del debitore che genera il debito d'imposta.
Nemmeno può sottacersi, ad ulteriore conferma, che il previsto obbligo per il concessionario della riscossione di conservare copia delle cartelle di pagamento e dei relativi attestati di ricevimento per la durata di anni cinque (DPR 602/73 art.26), depone senz'altro in favore dell'applicabilità della prescrizione quinquennale, come rilevato sia dalla dottrina che dalla già indicata giurisprudenza di merito.
Infine non si ritiene superfluo ricordare che nell'anno 2005 la Corte Costituzionale (sent.n.80), nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art.36 bis DPR 602/73 (che nella formulazione all'epoca vigente non prevedeva alcun termine di decadenza per la notifica della cartella di pagamento), affermò un principio rilevantissimo, ovvero che “l'art.24 Cost. non consente che il contribuente sia assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, soprattutto eccessivo e irragionevole”.
E' di tutta evidenza, sotto detto ultimo profilo, che se dovesse essere accolta la tesi della prescrizione decennale per le IIDD e per l'IVA, la conseguenza sarebbe che nel caso di omessa dichiarazione del contribuente l'A.F. potrebbe esercitare il controllo di merito nel termine di decadenza di anni sette (ex art.43 DPR 600/73 e 54 DPR 633/72) e quindi, nell'ipotesi di accertata evasione di imposta, notificare l'avviso di accertamento nel termine di anni 10.
Complessivamente, pertanto, il contribuente, anche se reo di essersi sottratto al dovere di pagare le imposte, sarebbe assoggettato all'azione esecutiva del fisco per anni 17, con palese violazione dell'art.24 della Costituzione, secondo il principio enunciato dalla Consulta.
Giuseppe Di Nardo