Impugnabilità del diniego di autotutela
Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
L'IMPUGNABILITA' DEL DINIEGO DI AUTOTUTELA
(Aggiornamento Giugno 2022)
In un precedente commento sull'autotutela tributaria (v. “L'autotutela tributaria” in questo stesso sito) lo scrivente aveva manifestato dissenso sull'insegnamento della prevalente giurisprudenza di legittimità e della stessa Corte Costituzionale (sentenza n.181/2017) secondo cui l'Amministrazione Finanziaria può agire con la massima discrezionalità nell'esercizio del potere di annullamento in autotutela degli atti illegittimi o infondati, sì che il suo rifiuto non sarebbe nemmeno impugnabile. In quella occasione era stata indicata la giurisprudenza, invero minoritaria, che confortava la predetta opinione contraria.
Purtroppo le successive sentenze della Corte di Cassazione, e segnatamente la recente Ordinanza n.7318/2022 e la precedente Sentenza n. 25652/2021, di cui si dirà in prosieguo, persistono nel ritenere assolutamente discrezionale e facoltativo il potere dell'A.F. di annullare in autotutela gli atti impositivi definitivi (per omessa impugnazione o anche se impugnati ma per motivi diversi da quelli coperti dal giudicato) anche se palesemente illegittimi.
Poichè nemmeno nella predetta giurisprudenza del Giudice di legittimità si rilevano argomentazioni tali da far presumere che sussistano ripensamenti, sia pur minimi, sulla predetta discrezionalità dell'A.F. nell'esercizio del potere di annullamento in autotutela degli atti illegittimi definitivi, sembra opportuno indicare le più rilevanti sentenze sulla materia e di poi, anche se in modo sintetico, i motivi che, anche alla luce dei prossimi interventi legislativi, depongono invece a favore dell'obbligatorietà del predetto potere e del conseguente diritto di impugnazione del contribuente avverso il rifiuto dell'A.F.
E' bene comunque precisare subito che la questione si incentra solo, o comunque prevalentemente, in riferimento agli atti tributari definitivi (per omessa impugnazione nei termini) oppure, per gli atti impugnati, in relazione a motivi diversi da quelli coperti da sentenza passata in giudicato, poiché per gli atti per i quali non sono decorsi i termini di impugnazione è interesse della stessa A.F. provvedere all'annullamento di quelli legittimi o infondati al fine di evitare la soccombenza in giudizio, con conseguente pagamento delle spese processuali e responsabilità personale dei funzionari interessati.
1) La giurisprudenza sull'impugnabilità del diniego di autotutela tributaria
Come è beno noto già molto prima della famosa sentenza n.181/2017 della Consulta vi era contrasto giurisprudenziale sia sull'ammissibilità dell'impugnazione del diniego di annullamento in autotutela (su richiesta del contribuente o di ufficio) che sulla relativa giurisdizione.
Nell'anno 2005, con la sentenza n.16776, le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto tra le sezioni semplici della Cassazione, affermarono la giurisdizione del giudice tributario osservando che se pure trattavasi di interesse legittimo del contribuente (e non di diritto soggettivo) oggetto del giudizio era comunque un atto tributario e l'art. 19 Dlgs 546/1992, che non indica tra gli atti impugnabili il detto diniego, era da interpretare estensivamente, non essendo la giurisdizione del giudice tributario limitata ai diritti soggettivi.
Con varie successive sentenze (v. S.U. 7388/07, 2870/09, 3698/09 e 16098/09) fu ribadita la sussistenza della giurisdizione del giudice tributario sull'impugnazione del diniego di autotutela ma fu chiarito che il contribuente poteva agire vantando solo un interesse legittimo, e non un diritto soggettivo, concernente unicamente la legittimità del rifiuto (e non la fondatezza della pretesa tributaria) per il perseguimento di un rilevante interesse generale all'annullamento dell'atto.
I predetti principi trovarono successivamente conferma (v. Cass. 16769/16, 25705/16 e 6791/17) sia in ordine alla sussistenza della giurisdizione del giudice tributario per l'impugnazione del diniego di autotutela tributaria che in relazione all'oggetto del giudizio, ravvisabile unicamente nella legittimità del rifiuto con riferimento a ragione di rilevante e concreto interesse generale alla rimozione dell'atto, escluso ogni riferimento alla fondatezza della pretesa del contribuente, affermandosi che diversamente si sarebbe generata una illegittima ingerenza del giudice tributario sull'attività amministrativa e un'inammissibile causa su un atto gia divenuto definitivo.
E' da precisare, però, che con l'Ordinanza n.1803/2019 la Cassazione ammetteva la possibilità di impugnare il diniego di annullamento in autotutela nella sola ipotesi in cui lo stesso diniego costituisse provvedimento di conferma propria con il quale l'Ufficio fosse rientrato nel merito.
Prima di proseguire nell'indicazione, sia pure sommaria, della giurisprudenza della Suprema Corte sull'argomento de quo, sembra opportuno premettere alcune rilevanti affermazioni che si leggono nella citata sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2017.
Afferma infatti la Consulta che: A) l'autotutela è un potere fondato su valutazioni “largamente discrezionali” dell'A.F. la quale non ha neppure il dovere di pronunciarsi sull'istanza del contribuente, onde il silenzio dell'A.F sull'istanza non costituisce inadempimento; B) che la riscontrata illegittimità del provvedimento tributario definitivo per omessa impugnazione, anche se relativa a motivi diversi da quelli coperti dall'intervenuto giudicato ma non più azionabili per intervenuta decadenza (dal diritto di impugnazione), non comporta necessariamente l'annullamento dello stesso poiché l'A.F. può dare prevalenza, nella comparazione tra il principio della giusta tassazione e quello relativo alla stabilità dei rapporti, a quest'ultimo che sarebbe compromesso dall'annullamento di un atto definitivo; C) che, non sussistendo alcun dovere dell'A.F. di rispondere alla istanza di autotutela del contribuente, il diniego/silenzio dell'A.F. sulla predetta istanza, che non costituisce atto impositivo, non è impugnabile innanzi ad alcun giudice, nemmeno innanzi a quello tributario.
La Consulta tuttavia, pur dichiarando non irragionevole la tesi dell'assoluta discrezionalità dall'A.F. sulla pronuncia, relativa alla richiesta di autotutela proposta dal contribuente, e della conseguente inammissibilità di impugnare il rifiuto, non escludeva “che siano precluse al legislatore altre possibili scelte”.
Affermava pertanto che “La previsione legislativa di casi di autotutela obbligatoria è dunque possibile, così come l'introduzione di limiti all'esercizio del potere di autoannullamento, ma non può certo dirsi costituzionalmente illegittima, per le ragioni sopra viste, una disciplina generale che escluda il dovere dell'amministrazione e, per quanto qui interessa, delle Agenzie fiscali di pronunciarsi sulle istanze di autotutela”.
I principi affermati dalla Consulta, sull'assoluta discrezionalità dell'A.F. nell'esercizio del potere di annullare in autotutela gli atti tributari, erano recepiti dalla giurisprudenza di legittimità che, però, teneva fermo il suo precedente insegnamento sull'esistenza del diritto del contribuente di proporre impugnazione contro il diniego dell'A.F. di procedere all'annullamento in autotutela, anche se riteneva di contenere il predetto diritto nello stretto limite di dedurre unicamente profili di illegittimità del rifiuto, escludendo nella maniera più assoluta la possibilità che, in sede di imugnazione del rifiuto. potesse essere contestata la illegittimità o fondatezza della pretesa impositiva (Cass. 24652/21).
Veniva altresì chiarito che l'eventuale deduzione dell'illegittimità del rifiuto di autotutela avrebbe dovuto essere fondata sull'esistenza di un interesse generale alla rimozione dell'atto, interesse tale da travalicare quello individuale del contribuente, come, ad esempio, in caso di atto impositivo adottato dall'A.F. sulla base di una errata affermazione di un principio suscettivo di generalizzazione (così Cass. 4937/19).
Nell'occasione veniva precisato che attribuendo al contribuente il diritto di impugnare il diniego di autotutela per vizi di legittimità dell'atto impositivo “si consentirebbe l'aggiramento del termine di decadenza, previsto a garanzia del principio di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, per l'impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero esposti al riesame a tempo indeterminato tutte le volte in cui il contribuente dovesse presentare un'istanza di revisione in autotutela”.
Le predette affermazioni erano integralmente condivise nella molto più recente Ordinanza della Cassazione n. 7318/2022 (dep. il 7/3/2022) in cui si riafferma che “il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell'annullamento dell'atto tributario divenuto definitivo è consentito, ma nei limiti dell'accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell'Amministrazione Finanziaria alla rimozione dell'atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l'impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell'atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo”.
A questo punto si ritiene opportuno chiarire il c.d. principio di perennità che concerne il potere di autotutela dell'A.F. nella forma attiva, ovvero contra contribuentem, poiché consente alla stessa di emettere un nuovo atto impositivo in sostituzione di quello viziato e da essa annullato in autotutela.
Recita infatti il comma 2 dell'articolo 2 del DM n.37 del 1997 (Regolamento del potere di autotutela dell'A.F.) che “Non si procede all'annullamento di ufficio, o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria”.
La disposizione, come è evidente, consente all'A. F. di emettere un nuovo atto impositivo, in sostituzione di quello viziato emesso in precedenza, con i soli limiti che non si sia formato il giudicato, favorevole all'amministrazione, sull'atto e non sia decorso il termine di decadenza, fissato dalle singole leggi d'imposta, per l'emissione dello stesso. Dal che si desume che, salva la formazione del giudicato esterno al momento della notificazione dell'atto sostitutivo emesso in esecuzione del potere-dovere di annullamento, anche se sia stata emessa sentenza non passata in giudicato e anche in pendenza di impugnazione la A.F. può sempre esercitare il potere di annullamento dell'atto impositivo (v. da ultima Cass. 3268/22).
2) L'obbligatorietà dell'autotutela tributaria
Prima di esporre i motivi che, anche alla luce della nuova imminente normativa, inducono a dissentire dalle affermazioni della Consulta e della prevalente giurisprudenza in ordine alla piena discrezionalità dell'A.F. nell'esercizio del potere-dovere dell'annullamento in autotutela degli atti impositivi illegittimi anche se definitivi e sulla non impugnabilità del relativo diniego (assumendosi che diversamente sarebbe violato il termine di decadenza previsto per l'impugnazione dell'atto impositivo e con esso il principio di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici) non sembra ultroneo indicare alcuni, se pure minoritari e non recenti, insegnamenti della giurisprudenza sulla questione.
Con la sentenza n. 2575/1990 la Suprema Corte aveva avuto modo di rilevare che “...omettere di difendersi nei confronti di una pretesa ingiusta della P.A., non soltanto può essere dovuto alle cause più svariate (non escluse quelle dovute al fortuito o alla forza maggiore) sicchè sarebbe arbitrario ravvisarvi “sic et simpliciter” una vera e propria volontà di acquiescenza, o, peggio, un comportamento meritevole di essere sanzionato con il costringimento all'ottemperanza di una pretesa ancorchè riconosciuta oggettivamente ingiusta, ma non fa venire meno il suo carattere intrinsecamente ingiusto e il dovere, di diritto oggettivo, della P.A. di correggerla nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela.
Alla P.A., inoltre, incombe un altro dovere specifico: quello della correttezza. E non è certamente corretto imporre a chiunque il rispetto di un atto amministrativo...oggettivamente errato. E la scorrettezza rimane tale, anche da un punto di vista strettamente fiscale, perchè in uno Stato moderno, il vero interesse del fisco non è affatto quello di costringere il contribuente a soddisfare pretese sostanzialmente ingiuste profittando di situazioni contingenti favorevoli al fisco sul piano amministrativo o processuale, bensì quello di curare che il prelievo fiscale sia sempre in armonia con l'effettiva capacità contributiva del soggetto passivo, sì da non compromettere per il futuro la fonte del gettito e, al tempo stesso, da stimolare il contribuente alla lealtà fiscale innanzitutto mediante l'autocorrezione dei propri errori...”.
Alcuni anni dopo la Suprema Corte aveva modo di affermare che “...le regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione...costituiscono il limite della sua (della P.A.) azione.Tali regole impongono alla P.A., una volta informata dell'errore in cui è incorsa, di compiere le necessarie verifiche e poi, accertato l'errore, di annullare il provvedimento illegittimo o comunque errato. Non vi è dunque spazio alla discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell'arbitrio, in palese contrasto con l'imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre devono informare l'attività dei funzionari pubblici. Questo principio vale anche allorchè il contribuente – compiendo una scelta di strategia difensiva il cui esito eventualmente negativo non può che imputare a se stesso – abbia lasciato scadere il termine utile per impugnare il provvedimento” (Cass. n.6283/2012).
Trattasi, come è evidente, di affermazioni rilevanti con le quali viene escluso il potere discrezionale dell'A.F. di denegare l'annullamento in autotutela richiesto dal contribuente (o anche di ufficio) di un atto illegittimo o comunque infondato, con conseguente ammissibilità del ricorso, innanzi al giudice tributario, del contribuente avverso il rifiuto di annullamento in autotutela dell'A.F.
Proprio i predetti indicati e pienamente condivisibili insegnamenti, minoritari e non recenti, della Suprema Corte, chiaramente contrastanti con il principio dell'ampia discrezionalità della A.F. nella valutazione delle istanze di autotutela del contribuente (principio affermato dalla Consulta e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità), avevano indotto lo scrivente a contrastare l'esistenza della predetta discrezionalità (v. il commento indicato in premessa).
In quella occasione si era rilevato che come l'azione impositiva dell'A.F. è vincolata ai principi di cui agli artt. 97 (buona amministrazione), 23 (riserva di legge per l'imposizione di tributi) e 53 (tassazione in base alla effettiva capacità contributiva) della Costituzione, corrispondentemente anche il potere di autotutela non poteva che essere vincolato agli stessi principi, essendo oltremodo illogico, oltre che contrario alla giustizia sostanziale, che l'ente impositore ha precisi obblighi di incassare mentre può fare quello che vuole quando deve restituire quello che ha incassato illegittimamente.
Del resto sia nella legge (art.2 quater DL 564/94, conv. in L. 656/94) che nel DM 37/97, ovvero nelle disposizioni che attualmente disciplinano l'autotutela tributaria, è espressamente previsto il potere di annullare o revocare in ogni tempo i provvedimenti impositivi definitivi per omessa impugnazione (o, anche se impugnati, per motivi diversi da quelli coperti dal giudicato).
Da tanto consegue la palese erroneità dell'affermazione della Consulta, e della giurisprudenza prevalente, secondo la quale il legislatore avrebbe ritenuto di privilegiare il principio della certezza e stabilità dei rapporti giuridici pubblici sul principio della giusta e legittima imposizione fiscale.
Se questo fosse stato l'intento del legislatore non sembra dubbio che sarebbe stato previsto un termine per l'esercizio dell'annullamento in autotutela tributaria, così come risulta previsto dalla legge n.124/2015 (c.d. legge Madia) che, modificando l'art.21 nonies, I comma della L.n.241/90 (che disciplina l'autotutela in campo amministrativo) impone il termine di giorni 180 per l'annullamento in autotutela dei provvedimenti attributivi di benefici economici.
Peraltro la stessa A.F. aveva negato, nei suoi provvedimenti di prassi, di possedere discrezionalità per l'annullamento dei propri provvedimenti illegittimi anche se definitivi.
Nella Circolare n.198 dell'anno 1998 il MEF ammetteva chiaramente che il corretto esercizio dell'autotutela non poteva di certo essere considerato “...come una specie di optional che si può attivare o non attivare a propria discrezione”, concetto ribadito nella nota n.21516/2012 in cui il Direttore dell'Agenzia delle Entrate ricordava al personale dipendente che l'utilizzo dell'autotutela non corrisponde ad una mera facoltà residuale del funzionario amministrativo, ma ad un dovere della P.A. “dovere cui sono collegate precise responsabilità e un metodo con cui attuare i principi di civiltà giuridica contenuti nell'ordinamento tributario mediante la rimozione degli atti illegittimi al fine di migliorare i rapporti di tax compliance con i contribuenti”.
3) La proposta di riforma dell'autotutela tributaria e della sua impugnazione
I dubbi e le serie perplessità espresse dallo scrivente e da vari autorevoli esponenti della dottrina (v. M. Cantillo: “Il controllo giudiziale del provvedimento di diniego dell'autotutela” in Rass. Trib. 2008; De Mita “Principi di diritto tributario” Milano, Giuffrè 2008; Moschetti “Profili Generali nella capacità contributiva” Padova, Cedam, 1993), nonché dalla minoritaria e non recente giurisprudenza indicata, sono stati recepiti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (il c.d. PNRR) che, occupandosi della giustizia, ha attribuito alla Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria l'esame delle criticità esistenti e la formulazione degli opportuni interventi legislativi per l'eliminazione delle stesse.
E' stato così previsto di potenziare l'efficacia degli strumenti deflattivi, per ridurre il numero dei processi, non solo mediante l'ampliamento delle ipotesi di contraddittorio endoprocedimentale, ma, quel che più rileva, mediante l'introduzione di ipotesi di annullamento in autotutela obbligatorie e di impugnabilità del rifiuto o silenzio dell'A.F. sulle relative istanze dei contribuenti.
Le proposte innovazioni sull'autotutela si sono concretizzate nella formulazione di tre nuove norme da introdurre rispettivamente la prima nella Legge n.212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente), la seconda e la terza nel Dlgs. 546/1992 che disciplina il processo tributario.
Con la prima delle tre norme proposte viene aggiunto l' Art.10 ter- Esercizio del potere di autotutela - alla Legge n.212/2000.
La predetta disposizione ha evidente riferimento al DM 37/1997 (Regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria) di cui, con le opportune modifiche, recepisce il contenuto dell'art.2 ed è così formulata:
1. L'Amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all'annullamento di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all'imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di un'evidente illegittimità dell'atto o dell'imposizione quale, tra l'altro:
a) errore di persona:
b) errore logico o di calcolo;
c) errore sul presupposto dell'imposta;
d) doppia imposizione;
e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti;
f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati:
h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.
Non si procede all'annullamento di ufficio ovvero alla rinuncia all'imposizione per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'Amministrazione finanziaria nonché, in caso di atti definitivi, decorsi due anni dal giorno della definitività ovvero, se posteriore,dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la proposizione dell'istanza di parte”.
Come risulta evidente nella disposizione su indicata la frase “può procedere in tutto o in parte all'annullamento...”contenuta nel comma 1 dell'art.2 del DM 37 cit. risulta mutata in quella “procede in tutto o in parte all'annullamento...” il che chiarisce che con il cit. art. 10 ter della L. 212/2000 l'annullamento in autotutela (di ufficio o su richiesta) non corrisponde più ad un potere dell'A.F. ma ad un preciso dovere, senza alcuna possibile discrezionalità una volta riconosciuta l'illegittimità o infondatezza dell'atto tributario, illegittimità di cui le ipotesi elencate nelle successive lettere da a) ad h) sono solo esemplificazioni non esaustive.
E' inoltre da rilevare che, differentemente da quanto disposto dal cit. comma 1 dell'art.2 del DM 37, perchè sussista il dovere di annullamento in autotutela da parte dell'A.F. è necessario che si sia in presenza non gia di una semplice illegittimità dell'atto o dell'imposizione ma di un' evidente illegittimità dell'atto o dell'imposizione, il che esclude l'obbligatorietà dell'autotutela nei casi in cui la questione sia dubbia, anche per l'esistenza di contrasti giurisprudenziali.
Inoltre, diversamente da quanto disposto dal cit. art. 2 del DM 37, è previsto che il contribuente può agire in giudizio avverso il diniego di autotutela solo in caso di atti divenuti definitivi, poiché per gli atti impugnabili sussiste la possibilità del ricorso ordinario innanzi al G.T.
E' infine disposto che l'istanza di autotutela, per esigenze di certezza, non può essere più proposta dopo il decorso di due anni dal giorno in cui l'atto è divenuto definitivo o dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la sua proposizione.
Il termine biennale corrisponde a quello previsto dall'art.2, comma 2, del Dlgs 546/92 per l'azione di rimborso dei tributi.
Dalle disposizioni della Relazione Ministeriale risulta che l'impugnazione del rifiuto di autotutela, costituendo un giudizio di impugnazione-merito, consente al giudice tributario adito non solo di sindacare la legittimità del rifiuto ma di provvedere anche sul merito della pretesa del contribuente.
Con la seconda norma viene aggiunta la lettera l) alle lettere precedenti indicate dal comma 1 dell'art.19 del Dlgs 546/92, lettere in cui sono enumerati gli atti impugnabili innanzi al Giudice Tributario, così disponendosi che il ricorso può essere proposto anche avverso “il rifiuto espresso o tacito all'istanza di autotutela di atti definitivi nei casi previsti dall'art.10 ter della legge 27 luglio 2000, n.212”.
Viene così espressamente prevista l'impugnabilità del silenzio/diniego dell'A.F. avverso l'istanza di annullamento in autotutela proposta dal contribuente, ben precisandosi che deve trattarsi di atti definitivi, essendosi ritenuto superfluo prevedere l'impugnabilità degli atti di diniego non definitivi avverso i quali è possibile proporre il normale ricorso al G.T.
Infine con la terza norma è stato aggiunto il comma 3 all'art.21 del Dlgs 546/92 che prevede lil termine per proporre il ricorso così disponendosi che “3. Nello stesso termine di cui al comma precedente può essere proposto il ricorso avverso il rifiuto tacito dell'autotutela di cui all'art.19, comma 1, lettera l”.
Per evidenti esigenze di certezza è previsto un termine biennale massimo per la proposizione del ricorso, termine analogo a quello previsto nel comma 2 dello stesso articolo per il ricorso avverso il rifiuto di rimborso.
Se le proposte della Commissione Interministeriale per la giustizia tributaria, come sopra indicate, saranno approvate dal Parlamento verranno meno i dubbi e le perplessità evidenziate dalla prevalente dottrina sulla esistente (o quanto meno da autorevole giurisprudenza ritenuta esistente) discrezionalità dell'A.F. sulle istanze di annullamento in autotutela degli atti tributari definitivi illegittimi.
Giuseppe Di Nardo