Contraddittorio motivazione atto tributario
Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
IL CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE
TRIBUTARIO
e
LA MOTIVAZIONE
DELL'ATTO IMPOSITIVO
(Aggiornamento Luglio 2021)
1)Premessa
Con
la sentenza n.12268/21 (dep. Il 10/5/2021) la Corte di Cassazione dichiarava
che è da ritenere perfettamente condivisibile il suo precedente orientamento
(Cass. 3583/16- 8378/17- 17210/18 e 1778/19) secondo il quale “In tema di
imposta sui redditi e sul valore aggiunto è valido l'avviso di accertamento che
non menzioni le osservazioni del contribuente ex art.12, comma 7, della L.
n.212 del 2000, atteso che, da un lato la nullità consegue solo alle
irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui
derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la
produzione di ogni effetto e, dall'altro, l'Amministrazione ha l'obbligo di
valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell'atto
impositivo”.
Il
Giudice di legittimità concludeva quindi affermando che “all'obbligo dell'Amministrazione
Finanziaria di valutare le osservazioni del contribuente (cui l'imposizione del
termine dilatorio, questa sì a pena di nullità, è strumentale) non si aggiunge
l'ulteriore obbligo di esplicitare detta valutazione nell'atto impositivo, a
pena di nullità”.
Con
la successiva e recentissima sentenza n.17016/2021 (dep. Il 16/6/2021) veniva
completamente negata la stessa essenza e funzione del contraddittorio
endoprocedimentale nei c.d. accertamenti a tavolino (ovvero eseguiti
negli uffici dell'A.F.) assumemdosi che nei predetti non è necessaria
l'emissione di un processo verbale ai fini del contraddittorio essendo
legittimo “che il primo atto portato a conoscenza del contribuente sia lo
stesso avviso”, ovvero direttamente l'avviso di accertamento, e questo
perchè, nonostante l'art. 24 L.n.4 del 1929 imponga sempre l'adozione di un
processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie, il
detto processo verbale “non deve necessariamente contenere le contestazioni,
potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi
di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione
dell'amministrazione finanziaria prima e dell'autorità giudiziaria poi, possono
comunque dare luogo all'emissione di avvisi di accertamento”.
Come
meglio si dirà di seguito le predette affermazioni non sono assolutamente da
ritenere condivisibili non solo per la sopravvenuta modifica normativa di cui
all'art. 5 ter Dlgs. 218/97 (che ha riferimento
ai c.d. accertamenti a tavolino
e solo a decorrere dall'anno 2020) ma anche in base alla preesistente
normativa.
Prima,
però, di esaminare le ragioni per cui è da ritenere necessario che non solo
nella motivazione dell'atto tributario impositivo, ma ancora prima nel verbale
conclusivo delle indagini finanziarie, siano indicate le contestazioni che
l'A.F. effettua nei confronti del contribuente al fine di consentire il contraddittorio endoprocedimentale che deve
precedere l'emissione del predetto atto,
ritengo opportuno riportare, seppure in maniera succinta, le
considerazioni che già esposi in un mio precedente commento (pubblicato su
questo stesso sito nel febbraio dell'anno 2017) in ordine alla necessità che,
prima dell'emissione dell'atto impositivo sia espletato il predetto contraddittorio,
necessità desumibile, ed anzi chiaramente imposta, non solo dalla normativa e
parte della giurisprudenza nazionale ma anche e soptattutto dalla normativa e
dalla giurisprudenza comunitaria alla quale la prima ha l'obbligo di
conformarsi ex art.117 della Costituzione.
2)
Il diritto del contribuente al contraddittorio endoprocedimentale per tutti i
tributi
A)
Nel diritto e nella giurisprudenza comunitaria
Nel
diritto comunitario l'art.41 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE (c.d.
Carta di Nizza) dispone che il diritto ad una buona amministrazione comprende
anche “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi
confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi
pregiudizio”.
Giova
ricordare che la Carta di Nizza ha valore di Trattato (ex art.6 del c.d.
Trattato di Lisbona) e, in quanto tale, è vincolante per lo Stato italiano.
Il
principio di cui all'art.41 cit. fu integralmente recepito dalla Corte di
Giustizia di Lussemburgo nella famosa sentenza Sopropè (sent. C 349/07 relativa
a dazi doganali) ed anche successivamente (sent. C 423/08).
Anche
la Corte Europea di Strasburgo ebbe modo di affermare che il diritto del
contribuente di essere sentito personalmente già nella fase dell'istruttoria amministrativa
è da ritenersi compreso nel diritto ad un equo processo poiché soddisfa sia
l'esigenza del contribuente di partecipare alla fase amministrativa che quella
di celerità e speditezza del procedimento rilevando altresì (cause 6/64
Costa/Enel e causa 106/77 Simmenthal) che i Trattati ed il diritto dell'UE
hanno prevalenza sul diritto degli Stati membri, onde l'obbligo del Giudice
nazionale di applicare il diritto e la giurisprudenza dell'Unione,
disapplicando qualsivoglia disposizione contrastante del diritto interno, senza
nemmeno attendere che la Corte Costituzionale ne dichiari l'illegittimità (c.d.
primato del diritto dell'Unione).
Degna
di nota, infine, la sentenza emessa in data 1 luglio 2010 dalla Corte di
giustizia (causa 35/09, MEF contro Speranza) che, proprio con riferimento ad un
tributo previsto dal diritto italiano (imposta di registro), chiarì che
contrasta con il diritto dell'Unione una disposizione che restringa i mezzi di
prova finalizzati a dimostrare l'insussistenza del presupposto d'imposta.
B)
Nel diritto e nella giurisprudenza italiana
Nella
normativa italiana il diritto del contribuente al contraddittorio con l'A.F.
prima che nei suoi confronti sia emesso un atto impositivo trova fondamento non
solo nei principi costituzionali di cui agli artt. 24 (diritto di difesa in
ogni stato e grado del procedimento), 97 (buon andamento ed imparzialità
dell'Amministrazione), 111 (svolgimento di ogni processo – da intendere come
comprensivo anche del procedimento- nel contraddittorio delle parti) e 117
(obbligo dello Stato di rispettare i vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali) della Costituzione, ma anche nella
legislazione ordinaria.
Invero
nell'ambito della legislazione dello Stato italiano, al fine di assicurare che
il contraddittorio endoprocedimentale sia assicurato al contribuente per dargli
modo di esercitare i suo diritto difensivo, esistono sia norme dettate per la
generalità dei casi sia norme poste per
ipotesi specifiche.
Tra
le prime vanno indicate: 1) l'art.24 L. n.4/1929 (ancora vigente) secondo il
quale le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono
contestate mediante processo verbale (al fine evidente di consentire al
contribuente di esplicare le sue difese); 2) gli artt. 5 e 6 L.212/2000 secondo
i quali l'A.F. deve assicurare al contribuente la conoscenza delle leggi, degli
atti amministrativi generali e di quelli a lui destinati (evidentemente per
acquisire le sue controdeduzioni); 3) l'art.7 L. n.212/2000 che impone all'A.F.
di motivare gli atti in base a quanto disposto dall'art.3 L. 241/90; 4) l'art.
10 della L. n.212/2000 che pone i principi di collaborazione e buona fede nei
rapporti tra A.F. e contribuente (principi dai quali deriva la garanzia di
forma partecipata); 5) l'art.12, L.
n.212/2000 che sancisce il diritto del contribuente sottoposto a verifica
presso la sua sede di essere informato delle ragioni e dell'oggetto della
stessa nonché dei diritti ed obblighi che gli competono mediante la notifica di
un processo verbale di constatazione con la concessione del termine di giorni
60 per comunicare osservazioni e richieste, termine solo oltre la scadenza del
quale, pena la nullità, può essere emesso l'atto impositivo; 6) l'art.10 bis
L.212/2000 in materia di abuso del diritto che impone a pena di nullità
l'espletamento del contraddittorio endoprocedimentale prima dell'emissione
dell'atto, con obbligo preciso di motivazione da parte dell'A.F.
Tra
le norme previste per ipotesi specifiche rilevano le seguenti: 1) l'art.10
L.146/98 che, per gli accertamenti basati sugli studi di settore, impone
all'A.F. di invitare il contribuente a comparire prima della notifica
dell'avviso di accertamento; 2) l'art.6, comma 5, della L. n.212/2000 che
impone l' obbligo all'A.F. di sentire il contribuente prima di effettuare
iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione automatica delle dichiarazioni
in caso di incertezze rilevanti; 3) l'art.36 DPR 600/73 che impone pari obbligo
per le rettifiche conseguenti a controlli formali delle dichiarazioni; 4) del
pari impone l'obbligo l'art.38 DPR 600/73 per gli accertamenti sintetici).
Una
nota a parte merita poi la sopravvenuta disposizione di cui all'art.5 ter del
Dlgs. 218/97 (introdotta con DL n,34/2019) applicabile agli avvisi di accertamento
emessi dal 1 luglio 2020.
Con
detta disposizione il Legislatore, evidentemente resosi conto che (nonostante i
fondati rilievi della dottrina e della giurisprudenza) il contraddittorio
endoprocedimentale risultava previsto, in via generale, ex art. 7 L.212/2000,
solo per gli accertamenti eseguiti presso la sede del contribuente e quindi ne
erano esclusi quelli eseguiti negli uffici dell'A.F., ovvero i c.d.
accertamenti a tavolino, ha ritenuto di porre rimedio alla carenza
normativa disponendo che “fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia
del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di
controllo” l'A.F. prima di emettere l'avviso di accertamento ha l'obbligo
di inviare al contribuente un invito a comparire per avviare il procedimento di
accertamento con adesione.
In
base al testuale disposto della nuova disposizione l'obbligo è escluso non solo
per i casi in cui sia stato rilasciato copia del verbale di chiusura delle
indagini ma anche per gli avvisi di accertamento parziali e di rettifica parziale (in genere emessi in
base alle informazioni in possesso dell'A.F.)
nonché in caso di particolare urgenza o di fondato pericolo per la
riscossione.
Al di
fuori dei predetti casi di accertamento parziale e di particolare urgenza è
prevista la nullità dell'avviso condizionata, però, alla c.d. prova di
resistenza da parte del contribuente (ovvero alla dimostrazione da parte
del contribuente delle ragioni che
avrebbe potuto esporre prima dell'emissione dell'atto impositivo se fosse stato
attivato il contraddittorio).
E'
poi previsto, per il caso di mancata adesione, l'obbligo per l'A.F. di motivare
specificamente l'avviso di accertamento in relazione ai documenti prodotti ed
ai chiarimenti forniti dal contribuente.
Come
meglio si dirà di seguito con la predetta innovativa disposizione il
Legislatore non ha affatto garantito le finalità del contraddittorio
endoprocedimentale, ovvero assicurare la difesa del contribuente ancor prima
dell'emissione dell'atto impositivo,, ma ha ulteriormente rafforzato la
condizione di supremazia dell'A.F.
Per
quanto poi concerne la giurisprudenza dello Stato italiano va ricordata la sentenza delle S.U.
n.19667/14 , che, confermando quanto già affermato dalla precedenti
sentenze (v. SU. n.16412/07, 26635/09 e 18184/13) e, richiamando anche la nota
sentenza Kamino della Corte di Giustizia Eu
(C 1297139 del 3 luglio 2014),
ribadì l'esistenza nel nostro ordinamento tributariodi un principio immanente
di contraddittorio procedimentale, ovvero del diritto di ogni soggetto di
essere ascoltato prima che nei suoi confronti sia adottato un provvedimento
individuale lesivo,
Del
resto anche la Corte Costituzionale con la sentenza n.132/2015 affermava
l'esistenza nel nostro ordinamento dell'obbligo del contraddittorio
endoprocedimentale poiché la sua attivazione “costituisce un principio
fondamentale immanente nell'ordinamento, operante anche in difetto di una
espressa e specifica disposizione normativa, a pena di nullità dell'atto finale
del procedimento, per violazione del diritto di partecipazione dell'interessato
al procedimento stesso”.
Purtroppo
con la sentenza n.24823 del dicembre 2015 le S.U. contrastavano le precedenti
decisioni affermando che l'obbligo per l'A.F. di esperire il contraddittorio
endoprocedimentale esiste solo per i c.d. tributi armonizzati (ovvero
prevalentemente IVA, dazi doganali ed accise), in quanto previsto dal diritto
comunitario, e per i detti tributi è sempre comunque condizionato alla c.d. prova
di resistenza, ovvero all'onere per il contribuente di enunciare le ragioni
che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio, e purchè si tratti di ragioni non meramente
pretestuose, essendo in contrario violati i principi di correttezza e buona fede,
Già
ebbi modo di indicare i motivi per i quali la detta sentenza non è
condivisibile poiché in palese contrasto con i principi costituzionali e
comunitari, come del resto rilevato dalla citata sentenza della Corte
Costituzionale n.132/15 e dalla precedente
giurisprudenza delle stesse S.U.
In
ogni modo, prima di esporre considerazioni sulla necessità del contraddittorio
endoprocedimentale per tutti gli accertamento, è opportuno esaminare le più
rilevanti decisioni giurisprudenziali anche relative all'obbligo per la A.F. di
motivazione per gli atti con cui siano contestate violazioni finanziarie
(art.24 L. n.4/1929)..
Già
nell'anno 2006, con la sentenza n.8581/06 la Corte di Cassazione aveva modo di
affermare che “...al giudizio di merito sul rapporto non è dato pervenire
quando ricorrano determinati vizi formali dell'atto in presenza dei quali il
giudice deve arrestarsi all'invalidazione di esso, con ciò non omettendo
affatto di esercitare la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e
correttamente esplicandola. In particolare il giudice deve fermarsi alla
pronunzia di annullamento nel caso di difetto assoluto (sent.4853) o di totale
carenza (sent. 4844) di motivazione anche in mancanza di una espressa
comminatoria legale di nullità”.
Nella
successiva sentenza n.8060/13 la Cassazione, dopo avere premesso che il diritto
al contraddittorio ha fondamento nel
diritto e nella giurisprudenza comunitaria, precisa testualmente che esso
diritto ricomprende “...il diritto di ogni individuo di accedere al
fascicolo che lo riguarda”
ulteriormente precisando che “l'obbligo per l'amministrazione di
motivare le proprie decisioni in modo sufficientemente dettagliato e concreto,
al fine di consentire all'interessato di comprendere le ragioni del diniego
opposto alla sua domanda, costituisce un corollario dei diritti della difesa”.
Degne
di menzione, infine, le sentenze della Suprema Corte nn. 701/19 e 7584/20 con
le quali, in palese contrasto con quanto in precedenza ritenuto dalle S.U.
(sent. 24823/15), si afferma che “L'art. 12, comma 7, della legge n.212/2000
prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione e verifica nei locali
destinati all'esercizio dell'attività, una valutazione ex ante in merito al
rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione
di nullità dell'atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che
già, a monte, assorbe la prova di resistenza, e volutamente la norma dello
Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non... per i
tributi armonizzati la necessità della prova di resistenza, ai fini della
verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la
normativa interna non preveda già la sanzione della nullità”.
Conclusivamente
si afferma che la legge, per gli accertamenti presso la sede del contribuente,
fa conseguire la nullità dell'atto impositivo dall' omissione del
contraddittorio endoprocedimentale senza distinguere tra i tributi non
armonizzati e quelli non armonizzati e senza imporre alcun onere per il
contribuente, quale l'onere della c.d. prova di resistenza.
Invece
per gli accertamenti c.d. a tavolino il diritto del contribuente al
contraddittorio endoprocedimentale per i tributi non armonizzati sussiste solo
nei casi espressamente previsti (come meglio si dirà di seguito) mentre per i
tributi armonizzati esso è sempre previsto ma, in caso di violazione, la
sanzione della nullità dell'atto impositivo scatta solo se il contribuente
fornisce la detta prova di resistenza.
3)
Il diritto al contraddittorio, l'obbligo di motivazione degli atti impositivi e
la c.d. prova di resistenza nella
normativa vigente
Sulla
base della normativa e della giurisprudenza indicate in precedenza è ora
possibile affermare che attualmente, per quanto concerne l'obbligo dell'A.F. di
attuare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente prima
dell'emissione di un atto impositivo è necesssrio distinguere l'ipotesi dei
controlli effettuati presso la sede del contribuente da quelli eseguiti negli
uffici della predetta A.F.
Nella
prima ipotesi il contraddittorio è attuato mediante l'invio al contribuente del
verbale di chiusura delle operazioni effettuate (art.12/7 Statuto del
contribuente), verbale in cui, oltre alla descrizione delle operazioni deve
darsi atto anche delle osservazioni del contribuente e del professionista che
eventualmente lo sbbia assistito (art.12 cit, comma 4). Avverso il detto
verbale il contribuente ha diritto di comunicare le proprie osservazioni nel
termine perentorio di giorni 60 (art.12
cit.).
Il
predetto procedimento, attuativo del contraddittorio endoprocedimentale, deve
trovare applicazione per tutti i tibuti, ovvero sia per quelli non armonizzati
che per i tributi armonizzati, poiché
l'art.12 cit. non pone alcuna distinzione. Non è richiesta, poiché nulla dice
la legge, la c.d. prova di resistenza.
Orbene
secondo la sentenza della Cassazione indicata in precedenza (v. premessa al
n.1) le osservazioni e deduzioni del contribuente, che secondo il preciso
disposto dell' comma 4 dell'art.12 della L. 212/2000, devono essere indicate
nel p.v. delle operazioni di verifica, nonché le ulteriori osservazioni e
richieste che il contribuente ha diritto di esprimere dopo il rilascio della
copia del pvc di chiusura delle operazioni di verifica (ex art.12 comma 7
L.212/2000), devono essere semplicemente valutate dall'A.F. senza però che per
essa sussista alcun obbligo di motivare le ragioni per cui sono state disattese nell'atto impositivo.
Tuttavia,
escludere l'obbligo di enunciare nella motivazione dell'atto impositivo le
ragioni di contrasto esposte dal contribuente nel corso della fase
procedimentale costituisce violazione
palese del diritto di difesa di costui nonché dei
principi di lealtà, collaborazione e buona fede sanciti dalla Costituzione e
dalla legge (artt.23 e 24 e 97 della Cost. nonché artt. 7 e 10 L. 212/2000).
In
particolare, e per quanto concerne l'obbligo della A.F. di motivare gli atti
impositivi tributari, giova ricordare che l'art. 7, comma 1, della L.212/2000
dispone chiaramente che “Gli atti dell'amministrazione finanziaria sono
motivati secondo quanto prescritto dall'art.3 della legge 7 agosto 1990
n.241...” e che il predetto art..3 L. 241/90 dispone espressamente che “ogni
provvedimento amministrativo.... deve essere motivato...la motivazione deve
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze
dell'istruttoria”, risultanze dalle quali non è possibile in alcun
modo escludere le osservazioni, controdeduzioni e richieste presentate dal
contribuente dopo il rilascio della copia del pvc di chiusura delle operazioni
(ex art.12/7 cit).
Conclusivamente
è da ritenere che, per quanto concerne gli accertamenti effettuati presso la
sede del contribuente, allo stato attuale della legislazione è rispettato sia
l'obbligo del contraddittorio preventivo sia, per le ragioni sopra esposte
(anche se non condivise dalla Cassazione), quello conseguente della motivazione
dell'atto impositivo.
Del
tutto diversa la situazione relativa all'obbligo del contraddittorio per quanto
concerne i c.d. accertamenti a tavolino.
Invero
prima che entrasse in vigore il cit art 5 ter del Dlgs n.218/97 (ovvero prima
del 1/7/2020) la giurisprudenza,
relativamente agli accertamenti effettuati nella sede dell'ente impositore
(esclusi quelli per i quali la legge specificamente prevede l'obbligo del
contraddittorio, v. sub par. 2 lett.B) era concorde nel distinguere tra i
tributi armonizzati (quali l'IVA e i tributi doganali) e i tributi non
armonizzati (IRPEF, IRAP e imposte dirette in genere) affermando che l'obbligo
del contraddittorio, prima dell'emissione dell'atto impositivo, sussiste solo
per i tributi armonizzati e unicamente alla condizione che il contribuente
assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far
valere non proponendo un'opposizione meramente pretestuosa (c.d. prova di
resistenza- v. da ultimo Cass. 6368/21, 6383/21 e 8718/21).
Era
precisato pertanto che per i c.d. tributi non armonizzati l'obbligo del
contraddittorio esisteva unicamente per gli accertamenti per i quali era
specificamente previsto dalla legge, ovvero per gli accertamenti presso la sede
del contribuente (ex art,12 L. 212/2000) e per altre specifiche ipotesi
normative.
In
alcune mie precedenti osservazioni (v. Il contraddittorio preventivo nel
procedimento tributario e
La
Cassazione insiste in questo stesso sito) avevo affermato che era mio
convincimento che l'obbligo del contraddittorio preventivo, in quanto fondato
sui principi del diritto comunitario, sulla Costituzione e sulle norme dello
Statuto del Contribuente, è da ritenere vigente per tutti i tipi di
accertamento tributario, come del resto ritenuto dalla prevalente dottrina e da
gran parte della giurisprudenza di merito, nonché, se pure in epoca non
recente, anche dalla stessa Corte di Cassazione (v. sentenze
nn.26635/09,18906/11,14026/12/19667/14) che richiamava l'art.24 L.n.4/1929 che
dispone che “Le violazioni contenute nelle leggi finanziarie sono constatate
mediante processo verbale” verbale da notificare al contribuente per
consentirgli di esporre le sue difese.
Evidentemente
il legislatore, preso atto del buon fondamento delle censure addotte avverso la
mancata previsione dell'obbligo del contraddittorio per i c.d. accertamenti
a tavolino (ovvero al di fuori dei casi di accertamenti effettuati presso
la sede del contribuente), con il DL 34/19 introduceva l'art. 5 ter nel Dlgs
218/97 che disciplina l'accertamento con adesione.
Con
la detta disposizione è stato reso obbligatorio, prima dell'emissione
dell'avviso di accertamento, invitare il contribuente a comparire al fine di
avviare il procedimento di definizione dell'accertamento prevedendosi inoltre
l'obbligo per l'A.F. di motivazione rafforzata dell'atto impositivo per
l'ipotesi di mancata adesione del contribuente alla definizione
dell'accertamento.
Nel
detto invito devono essere indicate le maggiori imposte accertate (oltre
sanzioni ed interessi) e i motivi che le hanno determinate (ex art.4 Dlgs
cit.), in adempimento dell'obbligo di motivazione di cui all'art.24 L 4/1929
cit.
Purtroppo
a causa dei numerosi e rilevanti limiti che circoscrivono l'obbligo del
predetto invito e, come se non bastasse,
della subordinazione dell'invalidità, conseguente all'omissione dell'invito
stesso, alla c.d. prova di resistenza (anche se trattasi di tributi non
armonizzati), la nuova disposizione ha efficacia in casi limitatissimi.
Sono
infatto esclusi dal procedimento gli atti che contengono unicamente sanzioni
nonché gli atti di liquidazione di imposte e quelli di liquidazioni di
dichiarazioni, nonché gli atti relativi ai tributi locali a meno che il
procedimento non sia espressamente previso nei regolamenti degli enti
impositori.
Il
cit. art.5 ter non è applicabile, poi,
nelle ipotesi in cui sia stato notificato al contribuente copia del
processo verbale di chiusura delle operazioni, ovvero, sembra di capire, non
solo nell'ipotesi di verifica presso la sede del contribuente prevista
dall'art.12 L.212/2000, ma anche nell'ipotesi che l'A.F. abbia ritenuto di
notificare comunque il verbale predetto, anche in esito ad un accertamento a
tavolino, poiché in detta ipotesi già risulta prevista dalla legge la
partecipazione del contribuente alla fase che precede l'emissione dell'atto
impositivo (casi già indicati in precedenza al n.2 sub B), sì che al
contribuentei è consentito presentare le
sue difese avverso il verbale.
Altra
causa di esclusione dell'obbligo predetto è disposta per i c.d. accertamenti
parziali, di cui all'art.41 bis DPR 600/73 per le imposte dirette e all'art. 54
DPR 633/72 per l'IVA, accertamenti che sono previsti dalla legge “senza
pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice” e derivano da segnalazioni di altri uffici o da
dati in possesso dell'Anagrafe Tributaria e che, proprio perchè non derivanti
da alcuna istruttoria, dovrebbero maggiormente essere vagliati in
contraddittorio con il contribuente, essendo oltretutto frequente il ricorso ai detti dati da parte
dell'A.F. che così elude in pratica il principio di unicità dell'accertamento
tributario di cui agli artt. 42 DPR
600/73 e 57 DPR 633/72.
Ulteriori
casi di esclusione dell'obbligo sono previsti per le ipotesi di particolare
urgenza e per le ipotesi di fondato pericolo per la riscossione.
Ma, a
parte la rilevante consistenza dei limiti imposti all'invito del contribuente
(e quindi al contraddittorio endoprocedimentale) per i c.d. accertamenti a
tavolino, limiti che rendono scarsamente applicabile l'istituto, sussistono
ulteriori problemi che lasciano a dir poco perplessi in ordine alla efficacia
del nuovo istituto.
Invero
dalla letterale formulazione della disciplina del nuovo accertamento a
tavolino risulta che al contribuente non è consentito conoscere gli elementi che l'A.F. ha
acquisito per formulare contro di lui la pretesa impositiva, poiché nessuna
disposizione prevede il suo diritto di consultare il fascicolo che lo riguarda,
e questo con evidente violazione del diritto al contraddittorio. Ricordo sul punto che la stessa Cassazione,
in epoca nella quale vi era maggiore sensibilità per i diritti del
contribuente, precisava che il diritto al contraddittorio comprende “il
diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda” (Cass sent. n.8060/13 già cit sub par.2
lett.B).
Ebbene,
pur nell'ignoranza di detti elementi, il contribuente viene a trovarsi nella
condizione di dovere decidere se prestare o meno il proprio consenso
all'adesione, con la conseguenza che in caso di negata adesione egli non potrà
più godere dello stesso beneficio dopo la notifica dell'avviso di accertamento.
Invero
l'art.6 del Dlgs 218/97 (sull'accertamento con l'adesione, come modificato
dall'art.4 octies DL 34/19) ha esteso anche all' ipotesi di cui all'art. 5 ter
la preclusione per formulare l'istanza di adesione prima della notifica dell'avviso
di accertamento per il contribuente cui sia stato notificato un precedente invito al quale non abbia
aderito.
E'
fin troppo evidente che, pur di evitare di perdere la possibilità dei benefici
derivanti dall'adesione, il contribuente, ricevuto l'invito, pur senza
conoscere gli elementi in possesso dell'A.F., si vedrà costretto a manifestare
tutti i suoi argomenti difensivi, in tal modo ponendo l'A.F. in evidente
posizione di vantaggio, con buona pace per la parità delle parti che è alla
base della stessa ratio del principio del contraddittorio.
Che
dire, poi, del nuovo comma 3 bis dell'art. 5 Dlgs 218/97 (introdotto dal DL
34/2019) secondo cui “Qualora tra la data di comparizione...e quella di
decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo
intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la
notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi
giorni in deroga al termine ordinario”.
Trattasi
di disposizione che palesemente privilegia la posizione dell'A.F. nei confronti
del contribuente, non senza rilevare che è di discutibile legittimità in quanto
contrastante con la norma di cui all'art.3, comma3, dello Statuto del
contribuente che esclude la prorogabilità dei termini di prescrizione e di
decadenza per gli accertamenti di imposta, norma
costituente principio generale dell'ordinamento tributario e, in quanto tale,
derogabile o modificabile solo espressamente (ovvero con la esplicita dicitura in
deroga) e mai da leggi speciali (art.1, comma 1, L. 212/2000).
Il
comma 3 del cit. art. 5 ter dispone poi che nell 'ipotesi di mancata adesione
del contribuente l'avviso di accertamento deve essere specificamente
motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal
contribuente.
Trattasi
della c.d. motivazione rafforzata che impone all'A.F. di prendere
specifica posizione sulle deduzioni difensive e sulle prove fornite dal
contribuente, obbligo la cui violazione rende annullabile l'avviso di
accertamento in base al disposto di cui all'art.42, comma 3, del DPR 600/73 per
l' IRPEF e di cui all'art. 56, comma 5,
del DPR 633/72 per l'IVA.
Giova,
a questo punto, ricordare quanto affermato nella sentenza 12268/21 (indicata
nella Premessa) secondo la quale l'A.F. avrebbe solo l'obbligo di valutare ma
non di “esplicitare detta valutazione nell'atto impositivo a pena di
nullità”.
Sono pervero del tutto incomprensibili le ragioni
per le quali solo in caso di accertamento a tavolino è richisto
l'obbligo di motivazione, obbligo non richiesto in caso di accertamento emesso
a seguito di pvc
Dai
commi 4 e 5 del cit. art. 5 ter risulta poi che, con eccezione dei casi particolare
urgenza, specificamente motivata, e di fondato pericolo per la
riscossione, l'omissione dell'invio dell'invito per l'adesione, e quindi
del contraddittorio endoprocedimentale, comporta l'annullabilità dell'avviso di
accertamento a condizione, però, che il contribuente fornisca con
l'impugnazione la c.d. prova di resistenza, ovvero esponga le ragioni che
avrebbe potuto addurre nel corso del contraddittorio endoprocedimentale, purchè
non palesemente pretestuose o irrilevanti.
Come
è evidente la c.d. prova di resistenza in caso di omissione del
contraddittorio preventivo ha la finalità di escludere le impugnazioni
meramente dilatorie da parte del contribuente, e tanto nel rispetto dei
principi di collaborazione e buona fede che devono improntare i rapporti tra
A.F. e contribuente (ex art. 111 Cost. e 10 L. 212/2000) onde non si
comprendono i motivi per cui essa non sia prevista nelle ipotesi di omissione
del contraddittorio procedimentale in caso di accertamenti conclusi con pvc.
Giuseppe Di Nardo