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Conciliazione tributaria

Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
 
LA NUOVA CONCILIAZIONE TRIBUTARIA
 
 

 
1) La nuova conciliazione in generale
 

 
Con l’art.9 lett.s e lett.t del Dlgs 156/2015 è stato riformulato l’art.48 e sono stati introdotti gli artt. 48 bis e 48 ter nel Dlgs.546/92. E’ stata così  rivisitata la disciplina della conciliazione giudiziale tributaria che dal 01 gennaio 2016 è diversamente regolamentata in base al momento in cui è formulata la richiesta (se prima o dopo che l’udienza di trattazione sia già stata fissata)  ed è resa possibile per tutta la durata del giudizio di merito.
 
Come si ricorderà la conciliazione è uno degli strumenti deflattivi del contenzioso tributario  poiché consente di risolvere le liti tra i contribuenti e l’Amministrazione Finanziaria, anche se solo successivamente all’inizio delle stesse.
 
In una precedente mia relazione rilevai che il contrasto tra la possibilità di conciliare, in forma latamente transattiva, una lite con il fisco e l’obbligo inderogabile di pagare i tributi previsto dall’art.53 della Costituzione è solo apparente ove si considerino congiuntamente la non vincolatività dell’obbligazione tributaria e la natura dispositiva del processo tributario.
 
Invero quanto alla disponibilità dell’obbligazione tributaria si ricorda che già nell’anno 1994 il legislatore, dettando la disciplina del potere dell’A.F. di annullamento di ufficio o revoca “anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati” delegò al Ministro l’emanazione di appositi decreti  con i quali definire “i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione” (art.2 quater D.L.564/94).
 
Pertanto se è certamente vero che l’A.F. deve determinare la pretesa impositiva secondo i criteri previsti dalla legge, è altrettanto vero che detta pretesa non può di certo essere sostenuta fino a diventare antieconomica: non si devono sostenere innanzi al giudice pretese impositive che, per motivi di fatto o di diritto, non possano essere soddisfatte.
 
Nella sentenza n.5445/2012 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ebbero modo di chiarire che l’atto vincolato “è configurabile allorché non soltanto la scelta dell’emanazione o meno dell’atto, ma anche il suo contenuto siano rigidamente predisposti da una norma o da altro provvedimento sovraordinato, sicchè all’Amministrazione non residui alcuna facoltà di scelta tra determinazioni diverse”.
 
L’atto tributario, se pure vincolato nell’an, per il contenuto dispositivo presenta sempre margini di valutazione tecnica quanto all’accertamento, alle caratteristiche e alla qualificazione giuridica del presupposto impositivo ( si pensi al redditometro, allo spesometro ed agli studi di settore che, se contrastati seriamente dalle deduzioni difensive del contribuente, possono indebolire o anche eliminare  la sostenibilità della pretesa impositiva).
 
Quanto alla natura dispositiva del processo tributario giova ricordare che il giudice tributario deve giudicare secundum alligata et probata essendo limitati i suoi poteri unicamente alla possiblità di formulare richiesta di dati alla P.A. o di disporre Consulenza Tecnica  (art.7 Dlgs 546/92) nonché a ritenere provati i fatti affermati da una parte e non contestati (art.115 c.p.c. a cui rinvia in generale l’art.1 Dlgs.546/92).
 
Passando quindi all’esame della nuova conciliazione si  rileva che le innovazioni più incisive concernono: a) la diversa disciplina della conciliazione, distinguendosi la conciliazione perfezionata fuori udienza da quella perfezionata in udienza; b) la possibilità di effettuare la conciliazione anche nel giudizio di secondo grado, rimanendo esclusa la possibilità di conciliare nel giudizio di cassazione attesa la natura di detto giudizio in cui sono esclusi gli accertamenti in fatto; c) la possibilità di conciliare anche per le cause soggette a reclamo/mediazione ex art.17 bis Dlgs.546/92, ovvero per le cause di valore non superiore ad € 20.000, ed anche per le cause catastali, instaurate in seguito al rigetto del reclamo o al non accoglimento della mediazione, essendo stato eliminato il divieto preesistente che imponeva l’alternatività tra reclamo e conciliazione; d) il momento di perfezionamento della conciliazione che è fatto coincidere con la sottoscrizione dell’accordo e non più col pagamento di quanto dovuto, con rilevanti effetti di cui si dirà di seguito; e) una più rilevante riduzione delle sanzioni.
 
Trattasi di modifiche tutte più favorevoli al contribuente e quindi predisposte per invogliare alla conciliazione poco ricorrente nel previgente regime.
 
Ai sensi dell’art.12, comma 1, del Dlgs 156/2015 le nuove disposizioni si applicano ai giudizi pendenti al 01/01/2016, a meno che, a quella data, non siano già perfezionati col versamento di quanto dovuto (o, se del caso, della prima rata).
 
 
2) La conciliazione fuori udienza
 
 
E’ innanzitutto previsto dal primo comma del nuovo art.48 del Dlgs 546/92 che “Se in pendenza del giudizio le parti raggiungono un accordo conciliativo, presentano istanza congiunta sottoscritta personalmente o dai difensori per la definizione totale o parziale della controversia”.
 
Il primo presupposto della conciliazione fuori udienza è quindi  la pendenza del giudizio ovvero non più, come in precedenza, che sia pendente il giudizio di primo grado, potendo essere proposta la conciliazione anche nel giudizio di appello.
 
L’esclusione del giudizio di cassazione risulta sia dal dato letterale della norma, poiché sia nell’art.48 (conciliazione in udienza) che nell’art.48 bis (conciliazione fuori udienza) il legislatore usa solo il termine commissione e non quello più generico di giudice, sia dalla disposizione di cui all’art.48 ter in cui è disciplinata l’entità delle sanzioni solo per il primo grado ed il grado di appello, sia infine in base alla considerazione che innanzi al giudice di legittimità sono esclusi gli accertamenti in fatto.
 
La necessaria pendenza di un giudizio comporta che eventuali accordi raggiunti dalle parti indipendentemente dall’esistenza di un giudizio non possono mai produrre gli effetti della conciliazione, potendo, eventualmente rilevare solo ai fini dell’affidamento.
 
L’accordo conciliativo, possibile per tutte le tipologie di liti di competenza delle Commissioni Tributarie, deve essere trasfuso in una istanza congiunta, sottoscritta dalle parti personalmente o dai loro difensori, che abbiano ricevuto il potere di disporre, ed in essa deve essere prevista la definizione totale o anche solo parziale della controversia.
 
Come in precedenza previsto dal vecchio testo dell’art.48  deve quindi trattarsi di istanza congiunta che scaturisca dalla proposta di una delle parti, ovvero anche dalla proposta del contribuente e non solo dalla proposta dell’A.F.
 
E’ espressamente disposto che l’istanza deve  presentare le necessarie condizioni di ammissibilità (ricorso introduttivo ammissibile, sussistenza della giurisdizione della Commissione, potere dei difensori di conciliare etc.), restando inteso che, in caso di istanza inammissibile, la Commissione deve portare la causa in decisione adottando i provvedimenti del caso (dichiarando l’inammissibilità del ricorso o il difetto di giurisdizione oppure, se trattasi di inammissibilità della sola istanza, decidendo nel merito)..
 
Chiaramente l’istanza dovrà contenere tutti gli elementi identificativi delle parti e della causa, gli elementi oggetto della conciliazione, le somme dovute in base alla conciliazione (ovvero, per le operazioni catastali, il classamento o la rendita rideterminati), la motivazione delle ragioni a base della conciliazione, l’accettazione della proposta conciliativa, la sottoscrizione delle parti o, se prevista l’assistenza tecnica, dei difensori ai quali risulti conferito il potere di conciliare.
 
Nel silenzio della legge è da ritenere che, in caso di difetto di talune delle indicazioni predette, sia possibile porvi rimedio mediante le opportune integrazioni ad istanza di parte od anche su richiesta della Commissione.
 
E’ da rilevare che la legge nulla dispone circa le condizioni o i limiti entro i quali l’A.F. può consentire alla conciliazione proposta dal contribuente onde, nel silenzio della legge, è da ritenere applicabile l’art.37, comma 4 bis, Dlgs 545/92  che demanda ai dirigenti di stabilire le condizioni per accettare, o anche per formulare, la proposta di conciliazione.
 
La legge nemmeno prevede un termine massimo per il deposito dell’istanza (la vecchia disposizione lo fissava nella udienza di trattazione in camera di consiglio o in quella di discussione in pubblica udienza), ma deve comunque ritenersi che il deposito dell’istanza debba avvenire prima della udienza fissata per la decisione in primo o in secondo grado, essendo evidente che dopo la decisione essa istanza non potrebbe avere alcun effetto.
 
Sono poi previste due diverse ipotesi per la decisione sull’istanza, distinguendosi il caso che l’udienza di trattazione sia già stata fissata da quello in cui la data della trattazione non sia stata ancora stabilita.
 
Nella prima ipotesi alla udienza fissata la Commissione, provinciale o regionale, se la conciliazione è totale pronuncia sentenza di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere; se, invece, si tratta di conciliazione parziale pronuncia ordinanza con cui dichiara la parziale cessazione della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa.
 
Nella seconda ipotesi, ovvero se la data di trattazione della causa non è fissata, provvede il presidente della sezione con decreto.
 
Il comma 4 del nuovo art.48 fa coincidere il perfezionamento della conciliazione fuori udienza con la sottoscrizione dell’accordo nel quale devono essere indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento o, in caso di conciliazione catastale, i relativi elementi (classamento e rendita).
 
L’accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme  dovute all’ente impositore o per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
 
Si è in tal modo posto riparo all’inconveniente derivante dal previgente regime che faceva coincidere il perfezionamento della conciliazione col pagamento della somma (totale o rateo) dovuta dal contribuente, sistema che faceva venir meno la  estinzione della controversia in caso di omesso pagamento, con conseguente riattivazione del processo.
 
Non può comunque non rilevarsi l’evidente squilibrio, anch’esso costituzionalmente censurabile per contrasto con l’ art..111 Cost., tra la posizione del contribuente e quella dell’ente impositore in caso di omesso pagamento di quanto concordato nell’accordo conciliativo: l’ente impositore potrà riscuotere le somme dovutegli a mezzo dell’A.d.R. con l’iscrizione a ruolo mentre il contribuente, per le somme dovutegli, dovrà tutelarsi con il normale mezzo dell’esecuzione ordinaria che, come è ben noto, quando ha per destinataria la P.A. comporta notevolissimi rischi e lungaggini.
 
Si sarebbe potuto ovviare a detta evidente sperequazione prevedendo la possibilità per il contribuente di fare ricorso al giudizio di ottemperanza, estendendone la previsione oltre che all’esecuzione delle sentenze anche all’esecuzione degli accordi conciliativi, ma sul punto la legge tace.
 
 
 
3) La conciliazione in udienza
 
 
Il nuovo art.48 bis Dlgs 546/92 dispone che ciascuna delle parti, entro il termine di cui all’art.32, comma 2, ovvero entro dieci giorni liberi prima della udienza di trattazione, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia.
 
Come si ricorderà nel previgente regime la proposta di conciliazione doveva essere inserita nella istanza di discussione in pubblica udienza (di cui all’art.33) da notificare entro dieci giorni liberi prima della data di trattazione.
 
Sul punto non sembra condivisibile quanto si legge nella Circolare n.38/E 2015 dell’Agenzia delle Entrate secondo la quale per la conciliazione in udienza, anche nel nuovo regime, sarebbe necessario presentare l’istanza di discussione in pubblica udienza.
 
L’assunto non è condivisibile sia perché nella nuova formulazione non vi è alcun riferimento alla pubblica udienza (ubi lex voluti dixit, ubi noluit taquit), sia perché la conciliazione può svolgersi anche al di fuori della presenza delle parti, essendo comunque rimesso alla Commissione di rinviare eventualmente l’udienza per il perfezionamento della conciliazione dettando gli opportuni provvedimenti.
 
La conciliazione si perfeziona con la redazione, nell’ udienza pubblica o camerale, del processo verbale nel quale devono essere indicate le somme dovute a titolo di imposte, sanzioni ed interessi, i termini e le modalità di pagamento.
 
Il predetto processo verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore o per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
 
Sul punto valgono le medesime considerazioni già esposte a proposito della conciliazione fuori udienza in ordine al trattamento evidentemente sperequativo tra l’ente impositore ed il contribuente: il primo potrà agevolmente recuperare il credito con l’iscrizione a ruolo ed avvalendosi dell’Agente della Riscossione mentre al secondo è consentito l’unico e complesso rimedio dell’esecuzione ordinaria, non essendo prevista la possibilità di utilizzare il più efficace e proficuo giudizio di ottemperanza.
 
Dopo la redazione del verbale la Commissione (provinciale o regionale) dichiara con sentenza estinto il processo per cessazione della materia del contendere.
 
Pur nel silenzio della legge è da ritenere che nell’ipotesi di conciliazione solo parziale sarà pronunciata ordinanza di parziale estinzione della materia del contendere e la causa proseguirà per l’ulteriore trattazione.
 
E’ comunque sottinteso che in caso di mancato perfezionamento dell’accordo conciliativo  si procederà alla trattazione della causa.
 
 
 
4) Le somme dovute per la conciliazione
 
 
Il nuovo articolo 48 ter disciplina l’effetto premiale che consegue alla conciliazione.
 
Per invogliare le parti a chiudere la lite, con la conciliazione è prevista una riduzione delle sanzioni amministrative maggiore di quella esistente nella disciplina previgente: riduzione al 40% del minimo edittale se la conciliazione si perfeziona in primo grado e al 50% del minimo se si perfeziona in appello.
 
La misura delle sanzioni è identica sia per la conciliazione fuori udienza che per quella che avviene in udienza.
 
Il versamento della somma dovuta (o della prima rata in caso di rateizzazione) deve avvenire entro 20 giorni dal perfezionamento della conciliazione, ovvero dalla data dell’accordo, se trattasi di conciliazione fuori udienza, o dalla data del verbale se trattasi di conciliazione in udienza.
 
In caso di omesso versamento delle somme dovute (o, in caso di rateazione,  di una delle rate entro il termine di pagamento della rata successiva), vengono iscritte a ruolo le residue somme dovute per imposta, sanzione ed interessi, oltre alla sanzione di cui all’art.13 Dlgs.471/97 (prevista,nella misura del 30% per il ritardato o omesso versamento) aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta.
 
E’ infine previsto che per il versamento rateale si applicano le disposizioni di cui all’art.8 Dlgs. 218/97 in tema di accertamento con adesione (versamento da effettuare entro 20 giorni dall’accertamento, dilazionato in un massimo di 8 o 12 rate trimestrali, in base alla entità dell’importo complessivo, ovvero se inferiore o superiore ad € 51.645,69), con iscrizione a ruolo del doppio del residuo importo in caso di omesso pagamento anche di una sola rata.
 
 
 
5) Le spese del giudizio nella conciliazione
 
 
La regolamentazione delle spese del giudizio in cui sia stata formulata una proposta conciliativa è contenuta nel nuovo comma octies dell’art. 15 del Dlgs 546/92 (aggiunto dall’art.9, comma 1, lett.f, del Dlgs 156/2015).
 
E’ disposto che in caso di intervenuta conciliazione le spese del giudizio si intendono compensate, salvo diverso accordo contenuto nel verbale di conciliazione.
 
In caso di ingiustificato rifiuto della proposta conciliativa è disposto che le spese del giudizio restano a carico di chi ha rifiutato la proposta se all’esito del giudizio risulti che la somma dovuta a chi rifiutò la proposta sia inferiore a quanto offerto dall’altra parte.
 
 
6) La conciliazione per le risorse proprie tradizionali
 
 
Nella Circolare n.21/D del 2015 l’Agenzia delle Dogane sostiene che per gli atti tributari aventi ad oggetto le risorse proprie tradizionali, così come non è applicabile l’istituto della sospensione senza garanzia  (affermazione di cui si è già confutata la condivisibilità in un precedente scritto), non è applicabile nemmeno l’istituto della conciliazione.
 
Si ritiene opportuno ricordare che, in base all’art.2 della Decisione Comunità Europea n.436/2000, costituiscono risorse proprie tradizionali varie entrate del Bilancio UE, tra le quali le più importanti sono i dazi doganali e gli imponibili IVA armonizzati secondo le regole comunitarie (IVA all’importazione).
 
Orbene, secondo autorevole dottrina (v. M. Villani in Tribuna Finanziaria n.1/16) che si ritiene pienamente condivisibile, la tesi della inapplicabilità dell’istituto della conciliazione giudiziale alle risorse proprie tradizionali è erronea.
 
Assume invero l’A.D. che l’inapplicabilità della conciliazione giudiziale ai predetti tributi sarebbe sancita dall’art.17, par.2, del Reg. CEE n.1150/2000 che limita a casi tassativi le ipotesi in presenza delle quali gli Stati membri sono esentati dal loro obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati che risultino irrecuperabili.
 
E’ stato però in contrario giustamente rilevato che il predetto art.17 espressamente limita i casi di irrecuperabilità a due tassative ipotesi, ovvero alla forza maggiore e ai motivi non imputabili allo Stato membro, ipotesi insussistenti per la conciliazione, poiché nell’attuale processo tributario non è prevista alcuna espressa esclusione, essendo invece lasciata all’Agenzia la possibilità di definire bonariamente la controversia che, in teoria, potrebbe anche vedere soccombente l’A.F. con danno per lo Stato.
 
E’ stato inoltre giustamente rilevato che i predetti tributi non possono farsi rientrare nemmeno tra i casi di irrecuperabilità, avendo l’A.F. tutti gli strumenti necessari per la riscossione delle somme.
 
Conclusivamente deve ritenersi applicabile l’istituto della conciliazione giudiziale anche alle risorse proprie tradizionali.
Giuseppe Di Nardo
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