La colpa nell'illecito tributario amministrativo
Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
LA COLPA NELL'ILLECITO TRIBUTARIO AMMINISTRATIVO
(aggiornamento Ottobre 2020)
1) La prevalente giurisprudenza della Cassazione sulla presunzione di colpa
Da oltre trenta anni, ed anche di recente, la prevalente giurisprudenza del giudice di legittimità afferma che nell'illecito amministrativo, ivi incluso quello tributario, la legge presume l'esistenza della colpa del soggetto che commise la violazione.
Già nella sentenza n.3321 del 1988 si legge che “Poichè...l'errore sul fatto, ha efficacia esimente solo se incolpevole, l'agente, per superare la presunzione a suo carico, deve dimostrare di avere commesso il fatto (o l'omissione) senza sua colpa”.
Segue la sentenza n.10906 del 1991 in cui si legge che “...secondo l'art.3 della legge 24 novembre 1981 n.689, che è modellato sull'art.42 IV comma c.p., per le violazioni punite con sanzione amministrativa, ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, ed il principio va inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra il dolo o la colpa, con l'ulteriore precisazione che dalla norma si desume altresì una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso sicchè incombe a questi l'onere di provare di avere agito senza colpa”.
L'affermazione secondo cui dall'art.3 cit. “si desume una presunzione di colpa” a carico di chi abbia commesso il fatto, incombendo su di esso “l'onere di provare di avere agito senza colpa”, si trova recepita acriticamente non solo nella sentenza delle S.U. n.10508/95 ma anche nelle successive sentenze nn.13165/2002, 10607/2003, 12391/2003, 22890/2006,13610/2007 e 1554/2009 nelle quali ultime però, essendo intanto intervenuto il Decreto Legislativo n.472/1997, recante la disciplina delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, il riferimento era fatto alla disposizione di cui all'art.5 del Dlgs 472/97 che, si affermava, aveva applicato alla materia fiscale il preesistente principio di cui al cit.art.3 L. 689/81 posto per le sanzioni amministrative in generale.
In particolare nella sentenza n.4171/2009 esaminando il caso di un contribuente che aveva richiesto un rimborso non dovuto (illecito tributario amministrativo previsto e punito dall'art.5, comma 5 Dlgs.471/97) la Suprema Corte affermava che “la norma incriminatrice...configura l'illecito tributario...del tutto prescindendo dall'esigenza di un dolo specifico e l'art. 5 d.lgs. 472/1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito dall'art.3 l. 689/81, rende, in linea generale, sufficiente per la punibilità dell'illecito tributario, la mera colpa, peraltro presunta a carico di colui che abbia consapevolmente e volontariamente posto in essere l'atto vietato, salvo che provi di avere agito incolpevolmente”.
Il principio trovava espressa conferma anche nella sentenza delle Sezioni Unite n. 20930/2009 nella quale però il giudicante, resosi evidentemente conto che (come meglio si dirà di seguito) né dall'art.3 L.689/81 né dall'art. 5 dlgs. 472/1997 risultava affermata la presunzione relativa di colpa a carico del contribuente, con conseguente inversione a carico dello stesso dell'onere di avere agito senza colpa, evidenziava le ragioni che, a suo giudizio, dovevano indurre a ritenere sussistente l'indicato principio affermato dalla prevalente giurisprudenza.
Osservava pertanto che “ E' innegabile come, negli illeciti di mera trasgressione, la loro stessa morfologia renda impossibile individuare, sul piano funzionale, un'intenzione o una negligenza nell'azione, ossia una condotta esterna onde ricostruire i tratti dell'atteggiamento interiore: l'azione, dolosa o colposa che sia, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica allora con la condotta inosservante (la c.d. suitas), la quale appare neutra proprio sotto l'ulteriore profilo del dolo o della colpa. Ciò perchè la condotta illecita, in tal caso, è priva di un risvolto naturalistico e non fornisce indizi percepibili dell'atteggiamento soggettivo e psicologico, onde la tipicità del dolo o della colpa si riducono alla mera suità della condotta inosservante, il cui aspetto esteriore appare compatibile con entrambi i possibili atteggiarsi dell'elemento soggettivo dell'illecito”, e tanto “per evitare impraticabili e defatiganti indagini di tipo introspettivo dal punto di vista dell'accertamento processuale, ove la mancanza in rerum natura di un'azione che rechi le stimmate di un atteggiamento predicabile come colpevole consente ed anzi impone al giudice di limitarsi ad individuare l'autore imputabile dell'inosservanza, senza necessità di ulteriori indagini in ordine ad una condotta da verificarsi come modulata sul piano del dolo o della colpa”.
Molto più semplicemente si può affermare che le Sezioni Unite ritenevano di giustificare la presunzione legale relativa di colpevolezza (esistenza del dolo o quantomeno della colpa) dell'agente negli illeciti amministrativi, compresi quelli tributari, ma pur sempre di mera trasgressione, presunzione da tempo affermata dalla prevalente giurisprudenza, non già in quanto desumibile dagli artt.3 e 5 già indicati, ma per le evidenti difficoltà di acquisire la prova dell'elemento psicologico dell'illecito.
Comunque il principio di diritto affermato trovava conferma nelle seguenti successive sentenze: 1) la n.13068 del 2011, nella quale veniva precisato che “va esclusa la rilevabilità di ufficio di una presunta carenza dell'elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa”; 2) la sentenza n.14042 del 2012 nella quale si aggiungeva che “L'esimente della buona fede rileva, invece, solo se l'errore sia inevitabile, occorrendo che l'ignoranza dei presupposti dell'illecito sia incolpevole, cioè non superabile con l'uso della normale diligenza”; 3) la sentenza n.11433 del 2015 nella quale, decidendosi sul ricorso avverso una sentenza della CTR in materia di intermediazione finanziaria, dopo l'enunciazione del consolidato principio sulla presunzione della colpevolezza dell'agente, si affermava che era errata “la statuizione di diritto della sentenza impugnata, che fa gravare sull'ufficio l'onere di dimostrare un comportamento colpevole direttamente addebitabile al presidente del consiglio di amministrazione”; 4) le sentenze n.26306 e n. 6930 dell'anno 2017 nella quale ultima, esaminandosi il caso di un contribuente che aveva invocato la causa di non punibilità per essere stato omesso il pagamento del tributo dal suo commercialista (art.6 comma 3 del Dlgs. 472/97), veniva evidenziato che “il contribuente non ha provato la mancanza della propria colpevolezza, non emerge che egli abbia vigilato sul corretto adempimento dell'incarico affidato”; 4)nelle sentenze 20219 e 22329 dell'anno 2018, nonché nella sentenza n. 6018 del 2019 nella quale si legge che: “Per configurare l'esimente della buona fede, che rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa, occorrono elementi positivi idonei ad ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti altresì che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso”; 5) nella sentenza n.12520 del 2019 in cui, dopo confermato il principio della presunzione di colpa a carico del contribuente, si aggiunge che “l'accesso all'istituto disciplinato dall'art.13 del dlgs n.472 del 1997 (c.d. ravvedimento, ndr) non rappresenta un elemento idoneo a comprovare l'assenza dell'elemento soggettivo in capo al contribuente, giacchè, anzi, l'istituto del ravvedimento operoso implica, al contrario, proprio il riconoscimento della violazione e della ricorrenza dei presupposti di applicabilità della sanzione”; 5) ancora nella sentenza n.5661 del 2020 nella quale, esaminandosi il caso di un contribuente che aveva invocato la sua innocenza per l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, avendo incaricato per l'incombenza un professionista contro il quale aveva anche presentato denuncia per l'omissione, si affermava che non era stata fornita dal contribuente la prova dell'assenza di colpa da parte sua, essendosi lo stesso “limitato a presentare una denuncia nei confronti del commercialista, senza neppure allegare le modalità con le quali avrebbe celato il proprio comportamento fraudolento; 6) infine nella sentenza n.16463 depositata il 31/7/2020 in cui si afferma che “...in tema di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, ai fini dell'affermazione della responsabilità del contribuente, ai sensi dell'art. 5 del dlgs. n.472 del 1997, è sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell'Amministrazione finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento) o ancora una volontà di evasione di imposta anche a mero titolo di tentativo...atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l'atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso”.
2) La giurisprudenza (minoritaria) della Cassazione sull'esclusione della presunzione di colpa
Se pure in numero minore si rinvengono anche sentenze del giudice di legittimità dalle quali si desume che nelle infrazioni amministrative deve escludersi la presunzione di colpa, essendo demandato al giudice di accertarne l'esistenza, ponendosi in tal modo l'onere della prova a carico della P.A.
Già nella sentenza n.7337 dell'anno 2003 la Suprema Corte, nel rinviare il processo alla CTR per nuovo esame, aveva cura di precisare che nel predetto esame doveva essere “ricompresa l'indagine – in precedenza omessa perchè ritenuta implicitamente assorbita....della colpevolezza, da verificare secondo i criteri indicati dall'art. 5, comma 1, del d.lgs 472/1997, con successiva valutazione dell'eventuale causa di non punibilità ai sensi dell'art.6, comma 2”.
Nella coeva sentenza n. 17579/2003 e in quella n. 1198/2004 leggesi testualmente che “Ora in materia tributaria l'art.5, I comma, primo periodo, del d.lgs. 472/1997...afferma, non dissimilmente da quanto previsto per le contravvenzioni in sede penale (art.42, ultimo comma, c.p.), il principio secondo cui per la responsabilità delle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Ai fini della responsabilità in questione, occorre quindi innanzitutto che l'azione od omissione siano volontarie; il concorso della volontà, la quale presuppone la coscienza, è quindi indispensabile per la responsabilità dell'agente. Inoltre è necessario che l'azione o l'omissione, oltre che cosciente e volontaria, sia anche colpevole, e cioè che si possa rimproverare all'agente di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente. Nel caso di specie risulta che....Nè l'amministrazione ricorrente indica in che cosa sarebbe consistita la colpa del..., e cioè quale condotta avrebbe dovuto tenere il contribuente per evitare il rimprovero di negligenza o di leggerezza”.
Nella successiva sentenza n.23309 del 2011 si afferma che viene accertata l'esistenza dell'elemento soggettivo del contribuente non già in base ad una presunzione legale, bensì in esito all'esame del comportamento del contribuente (omissione del pagamento di un'imposta), comportamento che si ritiene essere “in contrasto con il richiesto dovere di correttezza e tale da escludere la sussistenza del particolare requisito soggettivo della buona fede”.
Nella sentenza n.17626 dell'anno 2014 si afferma che la la nozione di colpa è ricavabile dal comma 3 dell'art.5 del Dlgs 472/97 precisandosi che “è comunque necessario che si possa parlare di negligenza o imperizia nel comportamento del contribuente e di inosservanza di obblighi tributari, compresi quelli relativi alle modalità di versamento del tributo”, in tal modo escludendosi che la mera violazione di un obbligo tributario comporti la sussistenza della presunzione della colpa. Si aggiunge inoltre che, nel rispetto del principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino (ex artt. 10 L. 212/2000 e 3, 23, 53 e 97 della Costituzione), “nella verifica in concreto dell'affidamento incolpevole nelle indicazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria occorre avere riguardo ad una serie di indicatori dai quali è dato desumere l'esistenza di una situazione tutelabile: a) un'apparente legittimità e coerenza dell'attività dell'Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) la buona fede del contribuente, ricavabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo”.
Nella successiva sentenza n.13356 dell'anno 2018 leggesi che “In tema di illecito tributario, l'applicabilità della sanzione amministrativa presuppone che l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) del contribuente sia almeno colposo...è comunque necessario che si possa parlare di negligenza o imperizia nel comportamento del contribuente e di inosservanza di obblighi tributari, compresi quelli relativi alle modalità di versamento del tributo”
3) I principi normativi sugli illeciti amministrativi
Al fine di una corretta interpretazione della normativa che disciplina l'elemento psicologico degli illeciti tributari amministrativi si ritiene opportuno indicare, sia pure in via generale, i principi posti a base della regolamentazione degli illeciti amministrativi in generale e quindi esaminare, più dettagliatamente, quelli relativi all'elemento psicologico, e segnatamente alla colpa, negli illeciti tributari.
Prima ancora, però, è necessario ricordare un principio fondamentale elaborato dalla autorevole e consolidata dottrina in ordine ai rapporti tra le sanzioni amministrative e quelle penali (v. Padovani, Diritto Penale, 11 edizione, Milano 2017; Barbera, Le tre Corti e la tutela multilivelli dei diritti Milano 2004; Zagrebelsky, I giudici nazionali, ivi): le garanzie penali devono essere applicate ai procedimenti sanzionatori amministrativi che, anche secondo la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, rientrano nella materia penale.
Si è così affermato che sia il diritto penale, ovvero l'insieme delle norme che disciplinano i reati, che il diritto punitivo amministrativo, ovvero l'insieme delle norme che disciplinano gli illeciti amministrativi per i quali sono previste pene pecuniarie, non sono altro che sottospecie del c.d. diritto punitivo.
Secondo l'Antolisei tra l'illecito penale e l'illecito amministrativo la distinzione è solo in base alla pena, avente natura criminale, irrogata dall'Autorità Giudiziaria, e quella avente natura diversa, irrogata dall'Autorità Amministrativa.
Come bene osserva il Ferrajoli (Teoria del Diritto, Roma 2007) le regole del diritto e del processo penale costituiscono “il terreno sul quale è stato costruito il paradigma dello Stato di diritto e della democrazia liberale come sistema dei limiti alla legge del più forte”.
L'indicata finalità delle norme penali (sostanziali e processuali) costituisce evidente giustificazione della affermata applicabilità dei principi ai quali esse sono ispirate anche all'accertamento delle violazioni amministrative tributarie, poiché solo con l'applicazione dei detti principi è possibile contenere l'arbitrio insito nell'esercizio del potere impositivo. Pertanto è necessario che sia prevista l'applicazione dei detti principi per le ipotesi in cui dal legislatore sono comminate sanzioni che possono compromettere la stessa sopravvivenza economica del contribuente.
Proprio per il perseguimento della detta finalità con la legge n. 689/81, con la quale taluni reati minori furono declassati ad illeciti amministrativi, furono dichiarati applicabili ai predetti illeciti alcuni fondamentali principi garantistici propri del diritto penale quali:
1) PRINCIPIO DI LEGALITA': (art.1) secondo il quale le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano solo nei casi e per i tempi in esse considerati: trattasi come è evidente dello stesso principio posto per i reati dall'art. 25 della Costituzione e dagli artt. 1 e 2 del c.p., Esso si suddivide nei tre sub principi, ovvero a) riserva di legge; b) irretroattività; c) tassatività e determinatezza, con divieto di analogia in malam partem;
2) PRINCIPIO DI IMPUTABILITA': (art.2) perchè sussista responsabilità amministrativa è necessario che l'agente abbia compiuto anni 18 e sia capace di intendere e di volere; trattasi dello stesso principio posto dall'art. 98 c.p. per la responsabilità penale, con la sola differenza che in penale per il soggetto che abbia compiuto anni 14 deve essere accertata caso per caso la responsabilità;
3) PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA: (art.3) oltre all'imputabilità, ai fini della sussistenza della responsabilità amministrativa è necessario che l'azione del soggetto sia posta in essere con coscienza e volontà (c,d, suitas) e che lo stesso abbia agito con dolo o colpa: è indifferente il dolo o la colpa, ma è necessaria almeno la colpa. Trattasi dell'identico principio posto per la responsabilità penale dall'art.42, comma 4, c.p.;
4) PRINCIPIO DELLA RESPONSABILITA' PERSONALE: (art.7): l'obbligazione del pagamento della sanzione amministrativa non si trasmette agli eredi: trattasi di principio identico a quello posto per la pena criminale dall'art.27 della Costituzione;
5) LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE (ART.4) è esclusa la responsabilità amministrativa per le seguenti cause: adempimento del dovere, esercizio di una facoltà legittima, stato di necessità, legittima difesa. Come si vede sono cause identiche a quelle previste dal codice penale per i reati (artt.51, 54, 52 c.p.), è ovviamente escluso l'uso legittimo delle armi mentre è dubbio il consenso dell'avente diritto. Per l'ordine illegittimo dell'autorità è prevista la sola responsabilità di chi impartì l'ordine. Secondo alcuni autori devono ritenersi applicabili le c.d. scriminanti putative (art.55 e 59 c.p.) e quella di eccesso colposo, in quanto rapportabili all'art.3 sulla colpevolezza.
6) IL CONCORSO DI ILLECITI (ART.8): per il concorso formale di illeciti amministrativi è previsto lo stesso trattamento sanzionatorio dettato dall'art.81, comma 1, c.p. per i reati, ovvero la pena della violazione più grave aumentata fino al triplo.
Nel silenzio della legge, dovrebbe ritenersi applicabile il cumulo materiale. Per lo stesso motivo, nulla disponendo la legge, nell'ipotesi di illecito amministrativo continuato dovrebbe ritenersi applicabile il disposto di cui all'art. 81 cpv c.p.
4) La disciplina normativa degli illeciti amministrativi tributari
Come è ben noto la summa divisio degli illeciti tributari distingue tra gli illeciti costituenti reati, e più precisamente delitti tutti caratterizzati dal dolo specifico (al fine di evadere le imposte), disciplinati dal Dlgs. n.74/2000, e gli illeciti costituenti mere infrazioni amministrative disciplinati dal Dlgs n.472/1997, illeciti questi per i quali, come si è già anticipato, la prevalente giurisprudenza sostiene che esiste la presunzione di colpa a carico dell'agente sul quale, quindi, dovrebbe ricadere l'onere di dimostrare l'inesistenza dell'elemento psicologico.
Di seguito si esamina la disciplina generale degli illeciti amministrativi tributari, con riserva di approfondire successivamente la normativa sull'elemento psicologico degli stessi.
Con il Dlgs n.472/1997 fu disposta la regolamentazione delle sanzioni amministrative tributarie. Come chiaramente si evince dalla lettura del Dlgs n.472/97 cit., nonchè dai principi generali già in precedenza posti a presidio delle sanzioni amministrative in genere, il legislatore si è curato in modo particolare di estendere alle sanzioni tributarie le medesime garanzie che caratterizzano le sanzioni penali a tal fine enunciando una serie di principi di palese derivazione penalistica, il che conferma che le sanzioni amministrative tributarie rientrano nel più ampio genere del c.d. diritto punitivo nel quale sono ricomprese anche le sanzioni penali.
Il primo e più rilevante principio che disciplina l'irrogazione delle sanzioni amministrative tributarie è quello, di cui già si è detto in relazione alle sanzioni amministrative in genere, della LEGALITA' , previsto dall'art. 3, comma 1, del cit. Dlgs 472/97 che testualmente dispone che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione”.
Dal principio suddetto consegue che solo una legge, o comunque un atto equiparato (decreto legge o decreto legislativo) può prevedere la sanzione comminabile per la violazione di un illecito tributario amministrativo. Esso principio corrisponde precisamente a quello posto per i reati dall'art.25, comma 2, della Costituzione (nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso) e dall'art.1 del c.p. ( nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite).
Il principio si articola a sua volta in tre sub principi, ovvero: 1) riserva di legge per la sanzione; 2) tipizzazione dell'illecito; c) divieto di retroattività.
La riserva di legge per la sanzione è assoluta onde se la legge (in tale espressione ricomprendendosi anche il decreto legge e il decreto legislativo) nulla prevede per la violazione dell'illecito fiscale, nessuna sanzione può essere comminata. Sulla riserva di legge per le sanzioni amministrative si pronunciò la Corte Costituzionale nella sentenza n.78/1967 affermando che “è necessario che sia la legge a configurare i fatti da punire”.
La tipizzazione comporta che la legge deve prevedere con precisione il fatto sanzionabile e la sanzione da applicare, essendo quindi vietata l'interpretazione analogica poiché in caso contrario l'interprete si sostituirebbe al legislatore.
Il divieto di retroattività comporta che se una norma introduce nuove sanzioni, o rende più gravose le sanzioni esistenti, le nuove sanzioni non possono essere applicate a violazioni commesse in precedenza. Trattasi di divieto strettamente connesso al c.d. principio del favor rei che deriva direttamente dal codice penale (art.2, successione di leggi penali) ed è posto dall'art.3, comma 2, Dlgs 472 cit., in base al quale “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile” . Trattasi, dunque, di quella che, in diritto penale, viene definita abolitio criminis. Il predetto comma 2, comunque, prosegue disponendo che “se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa la ripetizione di quanto pagato”. Infine il comma 3 dello stesso articolo 3 dispone l'applicabilità della legge più favorevole in caso di mutamento di legge dopo la commissione della violazione, salva la intervenuta definitività del provvedimento di irrogazione.
Il secondo principio è quello di PERSONALITA' della SANZIONE, corrispondente a quello previsto per la responsabilità penale dall'art.27, comma 1, della Costituzione (la responsabilità penale è personale).
Già previsto in via generale per le sanzioni amministrative, per gli illeciti tributari amministrativi il principio è contenuto nell'art.2, comma2, del Dlgs 472/97 (la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione).
Tuttavia con il DL 269/2003 ( conv. in L. 326/2003) il principio veniva del tutto modificato rispetto a quello originario conforme al diritto penale. Veniva infatti disposto che “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.
Allo stato pertanto vige il c.d. sistema del doppio binario: per la persona fisica, autore diretta della violazione, si valuta l'elemento soggettivo (ovvero imputabilità e colpevolezza), ma se il rapporto fiscale è proprio di ente con personalità giuridica la sanzione è esclusivamente a carico di essa.
Terzo principio è quello dell' IMPUTABILITA'.
L'art. 4 del Dlgs. 472/97 testualmente dispone che “non può essere assoggettato a sanzione chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere”.
Come è previsto per l'imputabilità in relazione agli illeciti amministrativi in genere, anche per quelli relativi alla materia tributaria l'imputabilità del soggetto è stabilita in base ai criteri indicati nel codice penale che, all'art. 85 dispone che “è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere”, di poi indicando le cause che escludono l'imputabilità (vizio di mente-art.88-, ubriachezza derivata da caso fortuito o forza maggiore -art.91-, sordomutismo – art.96-, età inferiore agli anni 14- art.97-), con la precisazione che il minore dgli anni 18, ma maggiore degli anni 14, è imputabile se, al momento del fatto, aveva capacità di intendere e di volere (art.98 c.p.), precisazione quest'ultima che non è contenuta relativamente agli illeciti amministrativi in genere per i quali, comunque, è fatto riferimento “ai criteri indicati nel codice penale”.
Segue il c.d. principio di COLPEVOLEZZA che sarà meglio esaminato di seguito. Qui è sufficiente rilevare che esso è posto dall'art. 5 del Dlgs. 472/97 secondo il quale “nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”. Trattasi di disposizione precisamente corrispondente a quella prevista per gli illeciti amministrativi in genere dall'art.3, I comma, della L. n.689/81, che, a sua volta riprende quella posta dall'art. 42, comma 4, del c.p. secondo la quale “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
Come si è già precisato il requisito della colpevolezza sarà più dettagliatamente esaminato di seguito. In questa sede è bene però far rilevare che la legge richiede oltre alla coscienza e volontà dell'azione anche il dolo o almeno la colpa.
Comunque è opportuno evidenziare che alla disciplina del codice penale è fatto riferimento anche dagli artt.9 e 12 Dlgs 547 cit. in riferimento al concorso di persone nella commissione dell'illecito tributario nonchè al concorso di violazioni e alla continuazione.
Con la prima disposizione è previsto che “quando più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questa disposta” proprio come è previsto dall'art.110 del c.p. per il concorso di persone nel reato.
Con l'art. 9 è poi disposto che “quando la violazione consiste nell'omissione di comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso”. In questo caso si deroga al principio posto dal precedente articolo 9 e prevale il principio di solidarietà che, evidentemente, è limitato agli illeciti tributari consistenti in una omissione.
Con l'art.12, comma 1, del Dlgs 472 cit. è poi disciplinato in modo non dissimile al codice penale (a parte l'entità della sanzione) il concorso, formale o materiale, di violazioni tributarie, disponendosi che quando con una sola azione o omissione (concorso formale) il soggetto viola diverse disposizioni (anche per tributi diversi) di legge, oppure con più azioni od omissioni (concorso materiale) viola la stessa disposizione, la sanzione è quella prevista per la violazione più grave aumentata dal quarto al doppio (per il concorso di reati l'art. 81/1 c.p. prevede l'aumento della pena fino al triplo).
Per violazione più grave, deve intendersi, secondo la giurisprudenza e la dottrina in materia penale, quella che in concreto comporta l'applicazione della sanzione più grave (così la Circolare 180/E del 1998).
In base poi all'art.12, comma 1, del cit. Dlgs. la stessa sanzione prevista per il concorso di violazioni si applica anche a chi “in tempi diversi , commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell'imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo”. Questa disposizione è stata però modificata dal Dlgs.158/2015 che ha disposto che in caso di progressione le disposizioni relative alla determinazione della sanzione unica vanno applicate separatamente per ogni tributo e per ogni periodo di imposta, sia in caso di accertamento con adesione che in caso di mediazione e di conciliazione giudiziale.
Per il caso della continuazione, ovvero “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi”, il comma 5 del cit. art.12 dispone l'aumento della sanzione base dalla metà al triplo.
Per quanto poi concerne la recidiva l'art.7, comma 3, del cit. Dlgs 472 dispone che si applica lo stesso trattamento previsto per la continuazione.
5) La colpa nelle violazioni amministrative tributarie
Come già è stato evidenziato in precedenza, trattando dell'elemento soggettivo della colpevolezza nelle sanzioni amministrative tributarie, l'art.5, comma 1, del Dlgs. 472/97 dispone che “Nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
La disposizione corrisponde precisamente a quella prevista per le contravvenzioni penali colpose dall'art.42, comma 4, del c.p. secondo la quale “Nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.
Precisato che la colpa, secondo la definizione contenuta nell'art.43, I comma, del c.p., consiste nella negligenza, imprudenza o imperizia (c.d. colpa generica) oppure nella inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa specifica), è necessario stabilire se possa condividersi l'insegnamento della prevalente giurisprudenza secondo la quale (v. par.1) nel nostro ordinamento per le violazioni amministrative tributarie esiste la presunzione di colpa a carico del contribuente, con conseguente onere a carico dello stesso di dimostrare la propria innocenza, ovvero una presunzione che nel diritto penale, al quale, come si è visto, si conforma la disciplina di quello punitivo tributario, contrasta con il principio di non colpevolezza dell'imputato (fino alla condanna definitiva) sancito dall'art.27 della Costituzione.
Prima, però, di esaminare la questione della presunzione di colpa nel diritto punitivo degli illeciti amministrativi tributari è opportuno rilevare che la questione predetta si era posta anche nel diritto penale poiché taluni autori (v. Leone, il resto aberrante, Napoli 1940; Bettiol, diritto penale, 1966) avevano sostenuto che nel caso della colpa specifica qualsiasi violazione di legge, anche quella dolosa, dà luogo a responsabilità per colpa rispetto agli eventi non voluti. La tesi fu però abbandonata perchè con essa, ammettendosi la colpa presunta, e quindi anche per gli eventi non dovuti a negligenza o imprudenza, si consideravano colposi anche questi eventi, così ammettendosi l'esistenza di casi di responsabilità oggettiva, ovvero casi che, se pure esistenti nell'ordinamento penale (art.42, comma 3, c.p. “la legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione”: es: delitto preterintenzionale, reati aggravati dall'evento) sono del tutto eccezionali poiché fondati solo sulla coscienza e volontà (suitas) e sul nesso eziologico tra azione ed evento.
Comunque, secondo quanto ritiene la prevalente dottrina e parte della giurisprudenza (e quanto del resto fatto palese dal testo della disposizione) l'art.42, comma 4, c.p. non dispone affatto che nelle contravvenzioni è sufficiente la coscienza e volontà dell'azione, ma solo che l'elemento soggettivo delle stesse può essere costituito indifferentemente dal dolo o dalla colpa.
La differenza, quanto all'elemento psicologico, tra i delitti e le contravvenzioni consiste nell'essere il dolo elemento normale nei delitti (nei quali la colpa rappresenta l'eccezione) mentre nelle contravvenzioni è sufficiente la colpa ai fini della responsabilità.
In ogni caso il giudice deve sempre accertare la natura dell'elemento psicologico del reato (delitto o contravvenzione) poiché l'art.133 c.p. dispone che ai fini della commisurazione della pena è necessario valutare l'intensità del dolo o il grado della colpa.
E' pertanto da ritenere, concordemente con la prevalente dottrina (v. Antolisei, Manuale di diritto penale, Milano 2003), che anche nei casi di colpa specifica è sempre richiesta, ai fini della colpa, l'imprudenza o la negligenza. La differenza tra i casi di colpa generica e quelli di colpa specifica è unicamente nella prevedibilità ed evitabilità dell'evento, requisiti che si richiedono nei casi di colpa generica ma non sussistono nei casi di colpa specifica, poiché in questi la valutazione della prevedibilità ed evitabilità dell'evento è già stata fatta dal legislatore.
Tanto premesso non sembra superfluo evidenziare che la Corte di Giustizia europea, sez II, 4 marzo 2014, nella sentenza Grande Stevens contro Italia, ebbe modo di ricordare che il nomen juris stabilito dal legislatore interno non vale ad escludere che un addebito di carattere amministrativo rientri nell'accusa penale a cui applicare le garanzie previste nell'art.6 CEDU, poiché l'esigenza di assicurare effettività ai diritti tutelati dalla Convenzione va salvaguardata facendo rientrare nella materia penale, cui vanno applicate le predette garanzie, le sanzioni amministrative inflitte considerando l'innegabile severità delle stesse che consistono nel pagamento di importi pecuniari assai elevati ed in previsioni accessorie di ingente valore patrimoniale.
Secondo la Corte di Strasburgo l'Italia è esposta alla violazione dell'art.6 CEDU (salvaguardia del giusto processo) e dell'art.4, par.1 Prot. 7 CEDU (salvaguardia del principio del ne bis in idem) per l'omessa applicazione delle fondamentali garanzie del processo penale nel procedimento amministrativo di irrogazione delle sanzioni.
In estrema sintesi la CEDU afferma che le violazioni tributarie non penali, indipendentemente dalla natura amministrativa ad esse riconosciuta dall'ordinamento italiano, possono essere irrogate solo se nel procedimento di accertamento risulti garantita l'applicazione delle garanzie generalmente applicabili nel diritto e nella procedura penale. Tanto perchè, come afferma la migliore dottrina (v. Lattanzi “Sanzioni penali e sanzioni amministrative” in Foro It. 1985, V, 251 – nonché Paliero/Travi : “La sanzione amministrativa-Profili sistematici”, Milano 1988) il diritto penale non è altro che un sottosistema del diritto punitivo in cui sono ricompresi sia il diritto penale che il diritto punitivo amministrativo. La predetta dottrina è tuttavia contrastata dalla poco convincente giurisprudenza della Cassazione secondo la quale le disposizioni costituzionali sul diritto di difesa (art.24 Cost.) e sul giusto processo (art.111 Cost.) non sono applicabili nei procedimenti amministrativi (v. S.U. 20935/2009).
Peraltro, come si è già visto (v. par.3), già nella regolamentazione della responsabilità da illecito amministrativo in generale, il legislatore, con l'art.3 della L. n. 689/81, recepì integralmente il contenuto dell'art.42, comma 4, c.p. disponendo che ai fini della responsabilità l'azione o l'omissione oltre che cosciente e volontaria deve essere caratterizzata quantomeno dalla colpa, regola questa desumibile anche dal comma secondo del cit. art.3 che disciplina l'errore sul fatto (“quando la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa”).
In pratica già con la legge n.689/81 il legislatore abbandonò del tutto la tesi della presunzione di colpevolezza negli illeciti amministrativi (presunzione sostenuta dalla prevalente giurisprudenza, v. par.1, ma palesemente contrastante con vari principi costituzionali: artt.24, 27 e 111 Cost.), oltretutto indicando espressamente le ipotesi in cui è prevista l'inversione dell'onere di provare la colpevolezza (culpa in vigilando, art.2, comma2; responsabilità solidale, art. 6, comma1, e 2), ipotesi che, quali eccezioni, rendono manifesta la regola secondo cui è l'organo che procede, ovvero l' Amministrazione Finanziaria nella fase dell'accertamento, che deve provare la sussistenza del dolo o della colpa.
Anche dalla testuale formulazione dell'art.5 Dlgs si evince chiaramente che il legislatore ha ricalcato la previsione dell'art.42, comma 4, del c.p. relativa all'elemento psicologico delle contravvenzioni sostituendo al termine contravvenzione la dicitura violazioni punite con sanzioni amministrative, in tal modo estendendo la disciplina prevista per le contravvenzioni anche agli illeciti tributari amministrativi.
E' così precisato che per gli illeciti tributari amministrativi il contribuente risponde della propria azione od omissione, poiché come nelle contravvenzioni l'elemento psichico è riferito all'azione o all'omissione (e non all'evento come nei delitti), cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa.
Così come per le contravvenzioni, anche per gli illeciti tributari per coscienza e volontà dell'azione deve intendersi l'attribuzione psichica del comportamento all'autore della violazione, nel senso che in tanto è possibile affermare detta attribuzione in quanto il soggetto sia nella condizione di valutare e dominare il proprio comportamento.
La coscienza e volontà del soggetto non deve essere confusa con l'imputabilità dello stesso che presuppone la capacità di intendere e di volere, capacità che si presume esistente in tutti i soggetti di età maggiore degli anni diciotto ( e che è invece da accertare nei soggetti di età minore di anni 18 ma maggiore di anni 14) e non interdetti.
La coscienza e volontà (c.d. suitas) può, invece, essere esclusa in situazioni particolari, quali la forza maggiore o il costringimento fisico, o comunque situazioni nelle quali il soggetto è strumento inconsapevole del suo comportamento.
Come risulta dalla testuale formulazione dell'art.5 Dlgs.472/97, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo negli illeciti amministrativi tributari, oltre alla coscienza e volontà dell'azione o omissione, si richiede altresì il dolo o la colpa, altrimenti gli aggettivi dolosa o colposa, riferiti all'azione o all'omissione non avrebbero dovuti essere menzionati nella disposizione di cui al cit. art.5 essendo sufficiente l'indicazione della suitas (la coscienza e volontà).
E' fin troppo evidente che la norma riproduce quella che nel diritto penale regolamenta l'elemento soggettivo delle contravvenzioni, ovvero l'art.43 c.p., nel senso che non è possibile prescindere quantomeno dalla colpa, altrimenti si sconfinerebbe nella responsabilità oggettiva.
E' necessario altresì ribadire che, come nel diritto penale, anche negli illeciti amministrativi (inclusi quelli tributari) l'elemento psicologico ha riferimento unicamente alla condotta, mentre nei delitti esso è proiettato verso l'evento.
Pertanto negli illeciti amministrativi tributari l'indagine sull'esistenza dell'elemento psicologico deve essere diretta a stabilire se il comportamento vietato fu posto in essere da un soggetto imputabile, in piena coscienza e volontà dello stesso e se corrisponda all'intenzione dell'agente diretta a pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta o, comunque, ad ostacolare l'attività amministrativa di accertamento (dolo), e, ove ciò sia escluso, se esso comportamento dipenda da negligenza, imprudenza imperizia ecc., elementi questi ultimi che, nel caso di colpa specifica, devono essere valutati indipendentemente dalla prevedibilità ed evitabilità dell'evento, elementi questi la cui sussistenza è già stata valutata ex antea dal legislatore.
La prova dell'elemento psicologico, con i limiti di cui si dirà di seguito, deve essere data dalla Pubblica Amministrazione, poiché non esiste nel vigente ordinamento alcuna presunzione legale di colpa, contrariamente a quanto afferma la prevalente giurisprudenza (v. par.1).
Non sembra invero superfluo ricordare la fondamentale regola generale, esistente nell'ordinamento giuridico in materia di onere probatorio, secondo cui onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat.
E' pur vero che la legge può sovvertire il detto principio mediante le c.d. presunzioni, ma, come si è già detto, né la legge penale né le leggi in materia amministrativa e tributaria pongono alcuna presunzione del genere, prevedendo invece espressamente la necessità del dolo o della colpa per la sussistenza dell'elemento psicologico ai fini della comminazione di una sanzione per gli illeciti amministrativi.
Consegue che negli illeciti tributari è la P.A. che deve fornire la prova dell'esistenza dell'elemento psicologico in colui che violò la legge tributaria, mentre chi commise la violazione ha l'onere di fornire la prova dell'esistenza di cause che detto elemento escludono ( v. art.6 Dlgs cit. : errore sul fatto incolpevole, buona fede, errore di diritto inevitabile, fatto denunciato e addebitabile a terzi, forza maggiore, violazione che non pregiudica l'azione di controllo dell' imponibile, dell'imposta e il versamento del tributo).
E' certamente vero che, come ebbero modo di rilevare le S.U. nella già citata sentenza n.20930/2009 (v. par.1), negli illeciti di mera trasgressione le evidenti difficoltà di provare l'esistenza del dolo o della colpa impongono di ritenere sufficiente la prova della mera suitas della condotta illecita poiché la valutazione sulla prevedibilità ed evitabilità dell'evento risulta già effettuata dal legislatore, ma la predetta affermazione, che comunque deve pur sempre ritenersi limitata ai c.d. illeciti di mera trasgressione, esige un chiarimento che trae origine da quanto già esposto in precedenza in relazione alla colpa nelle contravvenzioni penali e alla necessità di operare distinzione tra colpa generica e colpa specifica.
Nella colpa generica (negligenza imprudenza o imperizia, v. art.43 c.p.) in materia tributaria, ovvero nelle ipotesi in cui l' Amministrazione Finanziaria rimprovera al contribuente un comportamento imprudente o negligente dal quale trae elementi per affermare la sua responsabilità per una determinata violazione, è necessario che essa A.F. provi non solo la negligenza o imprudenza o imperizia del detto contribuente ma dimostri anche la prevedibilità e la evitabilità dell'evento verificatosi. Invero in presenza di eventi non prevedibili e non evitabili non è in alcun modo possibile logicamente ravvisare profili di negligenza o di imprudenza.
Invece nella c.d. colpa specifica (violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, v. art.43 c.p.)
poiché la colpa consiste nella mera violazione dei provvedimenti predetti, non è richiesta alcuna prova della prevedibilità ed evitabilità dell'evento, poiché la valutazione in ordine alla sussistenza dei detti requisiti, coma già detto, è già stata fatta dal legislatore. E' comunque pur sempre necessario verificare che il soggetto abbia tenuto un comportamento diligente e prudente nell'osservanza della norma e che non abbia violato altre regole dettate dalla comune esperienza, onde egli non risponde dell'evento a condizione che abbia usato tutte le precauzioni del caso (in tal senso v. Manzini, Trattato, vol. 1 p.764, nonché Antolisei, Manuale di Diritto Penale, parte generale, 2003).
Sul punto giova ricordare la sentenza della Cassazione n.1501/1990 in cui si legge che “in tema di colpa specifica, ad integrare la norma medesima basta l'inosservanza della regola cautelare, imposta dalla legge, regolamento, ordine o disciplina, purchè, beninteso, l'evento verificatosi sia riconducibile al tipo di evento che tale regola intende prevenire, per cui non vale invocare la mancanza del requisito della prevedibilità, essendo questa insita nello stesso precetto normativo violato, nel senso che è stato l'autore di questo a prefigurarsi una volta per tutte la pericolosità di certe situazioni tanto da dettare precise regole precauzionali per ovviarvi”.
E' inoltre da rilevare che, se pure nei casi di colpa specifica è lo stesso legislatore che ha già effettuato la valutazione della sussistenza della prevedibilità ed evitabilità dell'evento, è pur sempre richiesta comunque la prova del collegamento causale tra la condotta colposa e l'evento che con la formulazione della norma il legislatore si era proposto di evitare, poiché l'art.43 c.p. espressamente dispone che l'evento si deve essere verificato a causa di inosservanza di leggi, regolamenti, discipline. Da tanto consegue che nell'ipotesi che la causa dell'evento sia ravvisabile in fatti non dipendenti dal comportamento vietato dalla legge, nessuna responsabilità potrà essere addebitata al soggetto.
Da quanto esposto risulta di tutta evidenza che nella colpa specifica è alto il rischio di sconfinamento nella responsabilità oggettiva poiché in genere chi procede all'accertamento della responsabilità si limita ad accertare che sia stata violata la norma e si sia prodotto l'evento che, con il rispetto della norma, si voleva evitare, senza nemmeno porsi il problema dell'accertamento del nesso causale tra la condotta del soggetto e la verificazione dell'evento che, in ipotesi, potrebbe essersi verificato per fatto indipendente dal comportamento del soggetto de quo.
A questo punto non sembra superfluo rilevare che sull'inesistenza della presunzione di colpa negli illeciti amministrativi tributari si pronunciò lo stesso MEF nella Circolare n.180 del 10/7/1998, emessa poco dopo l'entrata in vigore del D.lgs.472/97.
Nella predetta Circolare il MEF, dopo avere premesso che l'art.5 del cit. Dlgs riprende la previsione dell'art.42 c.p. e dell'art.3 della L. 689/81, osservava che “di fronte alla violazione di una previsione legale è lecito in prima battuta che essa risalga, quanto meno, ad un comportamento colposo, salva la successiva verifica della reale esistenza della colpa” ma che tanto “non implica che negli atti di contestazione (art.16) o nei provvedimenti di irrogazione (art.17, comma 1) l'ufficio o l'ente possano omettere qualsiasi motivazione, anche se, in mancanza di elementi positivi tali da mettere in luce indizi specifici che denuncino negligenza, imprudenza o imperizia, essa finirà per consistere nell'individuazione della norma violata e dei fatti attribuiti al trasgressore”.
Non sembra superfluo, infine, rilevare l'atteggiamento a dir poco contraddittorio della Corte Costituzionale sull'applicabilità delle garanzie penali previste dalla Costituzione a tutte le misure aventi carattere punitivo- afflittivo.
La Consulta invero ha sempre ritenuto applicabili alle sanzioni amministrative le garanzie previste dall'art. 25 Cost. (irretroattività della legge punitiva, v. da ultima sentenza n.43/17 nella quale sono richiamate anche le sentenze 196/2010 e 104/2014) mentre ha escluso l'applicabilità alle stesse dell'art. 27 Cost. (principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva), in tal modo differenziando, senza una valida giustificazione, i criteri di delimitazione della materia penale sulla base delle garanzie costituzionali ad essi applicabili.
Deve tuttavia darsi atto che di recente la Corte Costituzionale ( Ordinanza n.117 del 10/5/2019) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea la decisione su una questione (pregiudiziale) relativa alla compatibilità delle disposizioni (artt. 14/3 Direttiva 2003/6 CE e 30/1 lett.b Reg. UE 594/2014) che sanzionano chi si rifiuta di rispondere a domande dalle quali può emergere la propria responsabilità per illeciti puniti con sanzioni amministrative, con gli artt. 47 e 48 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, anche alla luce della giurisprudenza della CEDU in materia di art.6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni degli stati membri.
La suindicata decisione della Consulta, pur essendo limitata al riconoscimento del diritto al silenzio (ricompreso nel diritto di difesa ex art.24 Cost.) del soggetto incolpato in un procedimento amministrativo, esprime evidentemente il favorevole convincimento della Consulta per l'applicabilità delle fondamentali garanzie penali (tra cui il principio di non colpevolezza ex art. 27 Cost.) nei procedimenti amministrativi sanzionatori.
Una volta esclusa l'applicabilità della presunzione di colpevolezza per le sanzioni tributarie consegue che nella materia tributaria le presunzioni possono trovare applicazione per la determinazione del tributo ma giammai per l'applicabilità delle sanzioni conseguenti per le quali, nei limiti di cui si è gia detto, l'onere della prova incombe sull'ente impositore che deve fornire al giudice gli elementi su cui si fonda.
Giuseppe Di Nardo