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Appello incidentale nel processo tributario

Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
 
L’APPELLO INCIDENTALE NEL PROCESSO TRIBUTARIO
(Aggiornamento Luglio 2017)

1) definizione e tipologie dell’appello incidentale

L’appello incidentale può essere definito come il mezzo processuale che l’ordinamento pone a disposizione della parte (contribuente o ente impositore o ente della riscossione) che sia rimasta parzialmente soccombente in una sentenza, resa da una Commissione tributaria provinciale, già  appellata da un’ altra parte (appellante principale) anche essa rimasta soccombente (totalmente o anche solo parzialmente) nel giudizio di primo grado.
La regolamentazione dell’appello incidentale è contenuta nelle norme relative all’appello nel processo tributario (artt.da 49 a 61 del Dlgs.546/92) e quindi, per le disposizioni di rinvio di cui agli artt.61 e 49, anche nelle norme poste per il giudizio tributario di primo grado, se non incompatibili con quello di appello, e nelle norme per il processo civile di appello (artt.da 323 a 358 c.p.c.) fatto salvo quanto disposto nel predetto Dlgs.
Presupposto essenziale dell’appello incidentale è la soccombenza parziale poichè esso è rivolto a contrastare, con specifiche censure, la sentenza che, accogliendo solo parzialmente la domanda della parte, si sia pronunciata sfavorevolmente, ovvero con decisione di rigetto, su una questione od eccezione dalla stessa proposta. Esso pertanto si differenzia del tutto dalle mere controdeduzioni difensive (ovvero dalle controdeduzioni non contenenti appello incidentale) con cui la parte, che sia risultata totalmente vittoriosa in primo grado, ripropone (come meglio si dirà in seguito) le ulteriori questioni ed eccezioni  non accolte al fine di ottenere la conferma della prima sentenza contrastando la domanda dell’appellante.
La necessità di proporre l’appello incidentale, per la parte risultata parzialmente soccombente, consegue al preciso disposto dell’art.56 Dlgs in base al quale le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della CPT che non sono specificamente riproposte in appello si intendono rinunciate poiché su di esse si forma il c.d. giudicato interno, con l’effetto della preclusione processuale all’esame delle stesse (per maggiori dettagli v. paragrafo 4).
La ratio dell’appello incidentale è quella di consentire il c.d. simultaneus processus, ovvero la trattazione unitaria delle varie impugnazioni proposte avverso la stessa sentenza, al fine di realizzare la celerità e l’economia processuale.
Ai sensi dell’art.54 del Dlgs 546/92 l’appello incidentale deve essere proposto nello stesso atto contenente le controdeduzioni della parte appellata e, a pena di inammissibilità, nei modi e nei termini di cui all’art.23 Dlgs cit.
Esso si distingue dall’appello principale unicamente per un motivo di ordine temporale, ovvero perché proposto successivamente alla avvenuta notifica dell’appello principale.
Nell’ipotesi che una parte parzialmente soccombente, non avendo ancora ricevuto alcuna notifica di appello da altra parte anch’essa soccombente (parzialmente o totalmente), proponga appello mediante notifica, è considerato appello incidentale quello successivamente notificato (trattasi dell’unico caso di appello incidentale notificato). In tale ipotesi  la parte appellante che ha notificato successivamente (e che quindi deve considerarsi appellante incidentale)  può costituirsi in segreteria entro 30 giorni dalla notifica da essa effettuata ex art.53 Dlgs. cit. (termine previsto per l’ appellante principale) oppure costituirsi nel termine di giorni sessanta dalla ricezione della  notifica dell’atto di appello (da considerare principale) della controparte.
Nella predetta ipotesi si instaurano due processi che dovranno essere riuniti, ex art.335 c.p.c.
Va comunque rilevato che, secondo un vecchio, ma non condivisibile (v. oltre sub par.3) insegnamento giurisprudenziale (Cass. 5025/1983 e 13578/2001), sarebbe da ritenere ammissibile l’appello proposto, mediante notifica, dall’appellato, ovvero da chi  abbia già ricevuto la notifica di atto di appello avverso la stessa sentenza, purchè la notifica proposta dall’appellato avvenga nel termine previsto per la proposizione dell’appello incidentale.
L’appello incidentale è considerato tempestivo se proposto nel termine (perentorio) di giorni 60 dalla notifica dell’appello principale e nel rispetto del termine ordinario di impugnazione (ovvero del termine breve di gg.60 ex art. 51, I comma Dlgs 546/92 decorrente dalla notifica della sentenza impugnata o del termine lungo di mesi sei ex art.38/III Dlgs cit in rifer. all’art.327 c.p.c.).
Se proposto oltre il termine ordinario di impugnazione, ma nel rispetto del termine di giorni 60 dalla notifica dell’appello principale, l’appello incidentale è considerato ammissibile ma tardivo con la conseguenza che segue le sorti dell’appello principale, onde se questo è dichiarato inammissibile quello incidentale tardivo è considerato inefficace (art.334,II comma, c.p.c.).
L’appello incidentale è invece sanzionato con l’ inammissibilità, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio (Cass. 16285/2007), se proposto oltre il termine perentorio di giorni 60 dalla notifica dell’appello principale (e quindi anche nell’ipotesi che non sia ancora decorso il termine lungo di cui all’art.327 c.p.c.). Tanto si evince chiaramente dalla formulazione dell’art.54 Dlgs cit. che, dopo avere fatto rinvio all’art. 23 per il termine di deposito dell’atto di controdeduzioni (contenente l’appello incidentale), prevede espressamente la sanzione dell’inammissibilità per la proposizione del detto appello incidentale in violazione del termine predetto.
Conclusivamente è possibile affermare che con gli artt. 54 e 56 del Dlgs cit. viene precisamente delimitato il c.d. thema decidendum del giudizio di appello poiché il giudice dovrà limitarsi a conoscere delle questioni ed eccezioni proposte dall’appellante con l’appello principale e dall’appellato con l’appello incidentale o con le controdeduzioni difensive, essendogli inibito di occuparsi di altro ex art.112 c.p.c. (c.d. effetto devolutivo dell’appello).

 2) la costituzione in giudizio della parte appellata

L’art.54 del Dlgs.546/92 detta la disciplina per la costituzione in giudizio della parte nei cui confronti sia stato proposto l’appello rinviando, in via generale, all’art.23, che disciplina la costituzione della parte resistente in primo grado, ma  distinguendo tra l’ipotesi in cui l’appellato si limiti al deposito delle controdeduzioni da quella in cui invece con lo stesso atto delle contodeduzioni proponga  appello incidentale.
La parte appellata che sia risultata totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado o che comunque, anche se risultata parzialmente soccombente, non intenda ottenere alcuna situazione migliorativa rispetto a quella ottenuta con la sentenza di primo grado, di cui pertanto si proponga di  ottenere la conferma, deve costituirsi in giudizio “nei modi e nei termini di cui all’art.23 depositando apposito atto di controdeduzioni”.
Pertanto la costituzione della parte appellata, che, in quanto totalmente vittoriosa in primo grado, non abbia interesse a proporre appello o che, se pure parzialmente soccombente, non intenda  proporre appello incidentale, deve avvenire nel termine non perentorio di giorni 60 dalla notifica dell’appello mediante deposito, nella segreteria della Commissione tributaria regionale, delle proprie controdeduzioni nonché del fascicolo e dei documenti offerti in comunicazione.
Per la verità l’art.54 cit. non accenna al fascicolo ed ai documenti ma l’esplicito rinvio all’art.23, che menziona espressamente il deposito del fascicolo, contenente le controdeduzionim (in originale e in copia per ciascuna parte) per la costituzione del ricorrente, nonchè  il principio posto dall’art.61 per l’applicabilità delle norme del giudizio di primo grado al giudizio di appello, inducono a ritenere che in sede di costituzione devono essere depositati anche fascicolo e documenti.
E’ da precisare che, per le ragioni che si esporranno di seguito, trattando della costituzione in giudizio dell’appellante incidentale (per il quale il rispetto del termine di giorni 60 è perentorio), la costituzione in giudizio può anche avvenire mediante trasmissione dell’atto di controdeduzioni (con fascicolo e documenti) alla Segreteria della CTR con plico raccomandato (v. par. n.3).
In ordine al contenuto delle controdeduzioni è necessario fare riferimento all’ art.23, dettato per il giudizio di primo grado, che però va letto in sintonia con gli artt.56, 57 e 58.
La parte appellata pertanto nelle controdeduzioni “espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti” (art.23) dall’appellante e inoltre ripropone eventuali “questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale” (art.56) od anche solleva eccezioni che siano rilevabili anche di ufficio (art.57).
Va subito precisato che con il termine questioni il legislatore ha inteso fare riferimento unicamente ai fatti costitutivi del diritto azionato, ovvero ai motivi del ricorso (Cass. 20062/2014) con esclusione delle istanze probatorie e delle argomentazioni giuridiche o comunque delle norme applicabili al caso (jura novit curia), poiché l’acquiescenza parziale (art.329 c.p.c.) è riferibile solo ai capi o alle parti della sentenza non impugnate e non riguarda la effettuata valutazione di mezzi istruttori o di questioni di diritto (Cass. 9917/2008), essendo infatti consentito al giudice di appello di valutare in modo diverso dal primo giudice i mezzi di prova o le questioni di diritto anche in difetto di richiesta formulata nell’atto di controdeduzioni.
Con il termine eccezioni devono invece essere intesi i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto fatto valere dall’appellato, con esclusione quindi della mera contestazione dei fatti costitutivi, implicitamente ricompresa nella richiesta di rigetto dell’appello (Cass. 13218/2005).
Le eccezioni si distinguono in eccezioni in senso stretto (o proprio), per l’ipotesi che la possibilità di introdurle nel giudizio sia demandata solo alla parte, ed eccezioni in senso lato per l’ipotesi che il potere predetto sia riservato anche al giudice.
L’onere, per la parte appellata, di riproporre in modo specifico (non essendo pertanto sufficiente un rinvio generico) questioni ed eccezioni non accolte si spiega considerando che, in caso di non riproposizione, su di esse si formerebbe il giudicato interno, operando la presunzione di rinuncia posta dall’art.56 Dlgs in base al quale “Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale che non sono specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”, con evidente pregiudizio per l’interessato nell’eventualità di accoglimento dell’appello con conseguente modifica svantaggiosa del risultato conseguito in primo grado.
Va a questo punto però rilevato che da antica data si è verificato un rilevante contrasto giurisprudenziale sullo strumento processuale, ovvero mere controdeduzioni o appello incidentale, utilizzabile dalla parte vittoriosa per sottoporre al giudice di appello le eccezioni di merito non accolte dal primo giudice onde evitare l’effetto di formazione del giudicato interno.
La necessità, per la parte vittoriosa appellata, di proporre l’appello incidentale veniva affermata dalla maggior parte della più recente giurisprudenza per le questioni ed eccezioni proprie esplicitamente o anche implicitamente, ma comunque chiaramente, rigettate in primo grado (tra le altre Cass. 1545/2007, 7702/2013, 23228/2015 e 4047/2016, 9543/2016, 16477/2016). In senso contrario si era invece pronunciata la giurisprudenza precedente (Cass. 15641/2004 e 2544/2003) che aveva ritenuto sufficiente la riproposizione delle eccezioni nelle controdeduzioni sul presupposto del difetto di attuale interesse, per la parte vittoriosa, alla proposizione dell’appello incidentale.
Del pari contrasto si era verificato in ordine alla necessità, per la parte vittoriosa nel merito, di proporre appello incidentale sulle eccezioni processuali risolte espressamente in senso ad essa sfavorevole, necessità affermata dalle S.U. con sentenza 25246/2008 (relativa alla eccezione di giurisdizione) e negata, nel senso di ritenere sufficiente la mera riproposizione, dalle S.U. con la sentenza n.3717/2007.
Sul predetto contrasto giurisprudenziale, relativo alla interpretazione dell’art.56 cit., la Corte di Cassazione, Sezione tributaria, con Ordinanza n.21808/2016 in data 05/10/2016, rimetteva gli atti alle Sezioni Unite rilevando che analoga questione risultava essere stata alle stesse rimessa per l’interpretazione dell’omologa norma di cui all’art.346 c.p.c. per il processo civile (Cass. Ordinanza 4058/2016 del 01/3/2016).
Con la predetta Ordinanza n.21808/2016 la Sezione tributaria della Cassazione, nel rimettere alle S.U. la risoluzione del contrasto, palesava il proprio convincimento, favorevole alla mera riproposizione delle eccezioni espressamente rigettate, facendo rilevare che  non si sarebbe dovuto ignorare la carenza nell’appellato, vittorioso in primo grado, dell’interesse ad impugnare una sentenza di accoglimento della sua domanda  e inoltre che,  anche mediante la mera riproposizione, le questioni respinte  sarebbero state comunque portate all’attenzione del secondo giudice, in tal modo soddisfacendosi anche le esigenze di economia e celerità del processo.
In attesa della decisione delle S.U. relativa al processo tributario (non ancora pubblicata) risultano emesse due sentenze della Suprema Corte che, anche se relative al processo civile, sono da ritenere comunque rilevanti per la soluzione del contrasto.
La prima è la sentenza n.7700/2016 emessa in data 19/4/2016 nella quale, decidendosi con rigetto della domanda principale ed omettendosi ogni decisione sulla subordinata domanda di garanzia, si afferma che l’appello incidentale, in quanto sottospecie del genere impugnazioni, è necessario allorquando, in presenza di rigetto della domanda principale, e quindi di esito favorevole al convenuto, una  eccezione di merito dallo stesso proposta sia stata rigettata con motivazione espressa o anche implicita, ma che ne evidenzi in modo chiaro ed univoco il rigetto.
In tal caso, infatti, il convenuto (soccombente solo virtuale) ha interesse a criticare la motivazione e tanto deve fare utilizzando l’appello incidentale che è vera impugnazione, poiché la sua posizione è omologa a quella dell’appellante principale di fronte ad una parte della motivazione che gli dà torto. Nella sentenza viene rilevato che la necessità dell’impugnazione si evince  anche dal testo dell’art. 342 c.p.c. che richiede la indicazione delle “parti del provvedimento” ovvero del contenuto della decisione oggetto della critica espressa con l’appello principale, e che, al comma 2, pone il requisito di rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Maggiormente poi rileva la sentenza delle S.U. n.11799/2017 del 12/5/2017 che fa seguito alla cit. Ordinanza n.21808/2016 relativa alla corretta interpretazione dell’art.346 c.p.c. che corrisponde alla omologa disposizione di cui all’art.56 Dlgs 546/92 .
Nella predetta ultima sentenza viene confermato il concetto già espresso nella sentenza n.7700/2016, ovvero che con la mera riproposizione di domande od eccezioni non accolte non viene espressa alcuna critica alla decisione impugnata, onde la stessa può avere ad oggetto unicamente le eccezioni per le quali il giudice non abbia emesso alcuna pronuncia, nel senso che le abbia del tutto ignorate, così dovendo intendersi l’espressione non accolte contenuta nell’art.346 c.p.c.
Invece nel caso di rigetto della domanda attorea e di ritenuta infondatezza, in modo espresso od anche implicito – ma che sottenda in modo chiaro ed inequivoco la valutazione di infondatezza-  di un’eccezione di merito, il convenuto, vittorioso in senso sostanziale, ma soccombente virtuale, deve proporre appello incidentale, ex art.347 c.p.c., per ottenere un riesame del giudice di appello, non essendo sufficiente la mera riproposizione dell’eccezione poiché è necessario censurare la motivazione della sentenza con l’impugnazione incidentale.
Del pari per quanto concerne le eccezioni improprie, ovvero rilevabili anche dal giudice di ufficio, nell’ipotesi di ritenuta infondatezza esplicita, o anche implicita ma chiara ed evidente, delle stesse.
In tale ipotesi la mancanza dell’appello incidentale preclude la rilevabilità di ufficio, causa l’avvenuta formazione del giudicato interno ex art.329, II comma, c.p.c..
Quando invece è possibile la mera riproposizione dell’eccezione (ovvero nella ipotesi che il giudice la abbia del tutto ignorata) la sua mancanza rende irrilevante l’eccezione stessa se trattasi di eccezione propria, mentre se trattasi di eccezione impropria essa può essere rilevata dal giudice di ufficio ex art. 345, II comma, c.p.c.
Come è fin troppo evidente i principi di diritto espressi dalle S.U. nella sentenza 11799/2017 sono rilevantissimi e verosimilmente saranno confermati nella emananda sentenza relativa al processo tributario per il quale, in ogni caso, sarà necessario tenere conto della sua natura impugnatoria e quindi della qualità delle parti
Invero nel processo tributario il contribuente ricorrente, è attore in senso formale, ma è convenuto in senso sostanziale mentre l’ente impositore o della riscossione, nei cui confronti è proposto il ricorso, è esso l’attore in senso sostanziale poiché è il soggetto che con l’atto impositivo ha azionato la pretesa nei confronti del contribuente.
Da tanto consegue che le eccezioni, ovvero i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del tributo (rectius del diritto di credito tributario) in primo grado potranno essere sollevate solo dal contribuente, invece le questioni, ovvero i fatti costitutivi del diritto di credito tributario, potranno essere sottoposte al giudice di appello sia dal ricorrente (in senso negativo) che dalla parte avversa (in senso affermativo).
Volendo quindi esemplificare, se il contribuente in primo grado sollevi una eccezione di prescrizione del tributo e la Commissione tributaria provinciale accolga il ricorso per carenza del presupposto impositivo, omettendo pertanto ogni decisione sulla eccezione, ovvero del tutto ignorandola essendone ultroneo l’esame (è illogico l’esame della prescrizione per un tributo inesistente), dopo l’appello principale proposto dall’ente impositore il contribuente potrà limitarsi a riproporre l’eccezione nelle controdeduzioni.
Invece nell’ipotesi che il la Commissione tributaria accolga il ricorso per la comprovata compensazione dello stesso da parte del contribuente ritenendo, esplicitamente o implicitamente, ma in modo chiaro, infondata la prima eccezione di avvenuto pagamento, il contribuente appellato, per evitare il rischio di soccombere in appello per l’eventualità che la CTR, in accoglimento dell’appello dell’ente impositore, ritenga infondata l’eccezione di compensazione accolta dal primo giudice, non potrà limitarsi a riproporre l’eccezione di pagamento ma dovrà proporre appello incidentale esponendo i motivi con cui censura la decisione del primo giudice di ritenuta infondatezza della predetta eccezione.
In ordine alle prove l’art.58 Dlgs 546/92 ne limita la indicazione a quelle del primo grado o a quelle che “la parte dimostri di non averle potuto fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile…salva la facoltà di produrre nuovi documenti”.
La natura meramente ordinatoria del termine di giorni 60 dalla notifica dell’appello, previsto per la costituzione della parte appellata (che non sia appellante incidentale), comporta, al fine di garantire comunque il diritto di difesa di cui all’art.24 Cost. (v. Cass.2925/2010), che la sua costituzione in giudizio deve avvenire fino alla data fissata per l’udienza di discussione o, in caso di trattazione in camera di consiglio, fino a cinque giorni liberi prima della data fissata per la detta trattazione (art.32. comma 3), restando vietate in tal caso unicamente le attività esercitabili a pena di decadenza in termini ben precisi, quale, ad es. la proposizione dell’appello incidentale.
Si rileva, comunque, che, nel rispetto del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio (art.24 e 111, comma 2, Cost.) ed anche per il rinvio posto dall’art.61 alle norme del giudizio di primo grado, la facoltà di produrre nuovi documenti può essere esercitata entro il termine perentorio di giorni venti prima dell’udienza di trattazione, ex art.32, comma 1, con le formalità di cui all’art.24 (Cass.655/2014 e 3661/2015), salvo, ben si intende, che non si siano già verificate decadenze previste dalle varie leggi di imposta (quale ad es. quella prevista per i documenti sottratti all’ispezione  ex art.32 DPR 600/73).
In ogni caso la produzione di nuovi documenti deve sempre essere correlata alla necessità di supportare domande ed eccezioni già proposte in primo grado ed alla condizione che dagli stessi non sorga l’esigenza di proporre motivi aggiunti, ipotesi queste che comporterebbero la dilatazione della materia del contendere, sussistendo il divieto di domande nuove in appello ex art.57  (Cass.4605/2008).
Per la verità, secondo  il consolidato insegnamento giurisprudenziale,  l’art.58, comma 2, espressamente prevede e consente la produzione di nuovi documenti in appello, con la conseguenza che nel processo tributario, mentre prove ulteriori, rispetto a quelle già acquisite in primo grado, non possono essere disposte in grado di appello, salvo che la parte non dimostri di non averle potuto fornire nel precedente grado di giudizio, i documenti possono essere liberamente prodotti anche in sede di gravame, ancorché preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado, a nulla rilevando l’irritualità della loro produzione (Cass,22776/2015, 3661/2015, 22776/2015 e 27474/2016).
Trattasi però di insegnamento che non può non suscitare perplessità, attesa la natura quasi esclusivamente documentale del processo tributario e il conseguente contrasto della quasi indiscriminata possibilità di produzione documentale con il divieto di nuove prove in appello posto dal primo comma dell’art.58.
Il predetto contrasto è stato rilevato dalla CTR partenopea che in un primo momento ha ritenuto di risolverlo assumendo che sarebbe da ritenere “ammissibile in appello soltanto la produzione di documenti nuovi che non abbiano una valenza probatoria in quanto l’indiscriminata possibilità di produzione documentale si collocherebbe in palese violazione con il divieto di nuove prove in appello di cui al primo comma”.
E’ però fin troppo evidente che limitare l’ammissibilità della produzione di nuovi documenti a quelli che non abbiano una valenza probatoria significa ammettere solo la produzione di documenti del tutto irrilevanti processualmente e praticamente ininfluenti ed inutili, onde difficilmente sarebbe ipotizzabile un interesse della parte alla produzione degli stessi.
Trattasi di considerazione di tale ovvietà che la stessa CTR partenopea con la successiva Ordinanza n.943/32/16 del 06/5/2016 ha rimesso gli atti alla Consulta ritenendo non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del predetto secondo comma dell’art.58 per contrasto con gli artt. 3, 24 e 117 Cost.
La CTR dopo avere rilevato che una lettura fortemente restrittiva del predetto secondo comma, nel senso di ritenere documenti nuovi quelli ulteriori rispetto a quelli già acquisiti ma necessari per  integrare i secondi in relazione ai motivi della sentenza o ai motivi di appello, sarebbe ultronea perché già risultante dal sistema, fa rilevare che ammettere in appello liberamente una produzione documentale dalla quale la parte risultasse già decaduta in primo grado per inosservanza dell’art.32 Dlgs 546/92 vanificherebbe il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio poiché l’omessa produzione documentale in primo grado potrebbe essere stata voluta per impedire alla controparte la proposizione di motivi aggiunti e quindi il pieno esercizio del diritto di difesa. Sarebbe in aggiunta minata in radice la certezza delle situazioni giuridiche  di cui consta il rapporto processuale.
Nell’attesa della decisione della Consulta non può non darsi atto dell’assoluta incoerenza di una disposizione che, dopo avere correttamente posto una  limitazione alla produzione di nuovi mezzi di prova nel giudizio di secondo grado, ammette liberamente la produzione di documenti, ovvero di quelli che sono gli ordinari, e quasi esclusivi, mezzi di prova nel processo tributario.




3) La costituzione in giudizio dell’appellante incidentale

Ai sensi dell’art.54, II comma, Dlgs 546/92, la parte nei cui confronti sia stato proposto appello e che sia stata parzialmente soccombente nel giudizio di primo grado, al fine di ottenere la riforma della sentenza nella parte che intende contestare, nello stesso atto di controdeduzioni  all’appello principale deve proporre appello incidentale contenente i motivi di impugnazione. E’ da precisare che, poiché è escluso che nel giudizio di primo grado l’A.F. possa proporre domande (a parte la condanna alle spese), l’ipotesi di soccombenza parziale potrà verificarsi solo in caso di annullamento parziale dell’atto impugnato.
Nel caso di appello incidentale le controdeduzioni che lo contengono devono essere depositate, a pena di inammissibilità, nei modi e nei termini di cui all’art.23, il che sta a significare che nel termine di decadenza di  sessanta giorni dalla notifica dell’appello principale deve avvenire il deposito, nella Segreteria della Commissione tributaria regionale, del  fascicolo dell’appellante incidentale e dei documenti offerti in comunicazione.
La sanzione dell’inammissibilità, posta per il deposito delle controdeduzioni della parte appellante incidentale dal secondo comma dell’art.54, che  in tal modo  differenzia le dette controdeduzioni da quelle della parte meramente appellata (per la quale è applicabile l’art.23 che  prevede un termine meramente ordinatorio, come si è già detto), comporta che è da ritenere ammissibile l’appello incidentale proposto nel termine di giorni sessanta dalla notifica dell’appello principale, anche se detto termine sia successivo  alla scadenza  di quello imposto per l’appello principale, termine quest’ultimo che, ai sensi dell’art.51 è di giorni sessanta in caso di avvenuta notifica della sentenza oppure di mesi sei dal deposito della sentenza in caso di omessa notifica della stessa, come risulta dall’art.51, ultima parte, che rinvia all’art.38, III comma, che a sua volta rinvia all’art.327, I comma, c.p.c.
Quanto alla modalità di costituzione della parte appellante incidentale, come si è già detto, essa deve avvenire, ex art.54 Dlgs 546/92, mediante deposito delle controdeduzioni, contenenti  l’appello incidentale, nella segreteria della CTR.
In proposito devesi rilevare che, se è pur vero che  gli artt.54 e 23 del Dlgs, differentemente dagli artt.53 e 22 stesso Dlgs che disciplinano la costituzione in giudizio dell’appellante, non prevedono la possibilità di costituzione mediante utilizzo del servizio postale, tuttavia tale possibilità è ritenuta ammissibile in base ad un consolidato e condivisibile insegnamento giurisprudenziale..
Giova ricordare che la possibilità dell’utilizzo del servizio postale per la costituzione in giudizio del ricorrente in primo grado e dell’appellante principale fu introdotta con D.L. 203/2005 (conv. in L.248/2005) dopo che la Corte Costituzionale, con sentenza n.520/2002, aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 22 Dlgs. cit. nella parte in cui non consentiva, per la costituzione in giudizio del ricorrente, l’utilizzo del servizio postale.
La evidente disarmonia creatasi in seguito alla modifica dell’art.22 (che è richiamato dall’art.53 per la costituzione dell’appellante principale) tra la costituzione del ricorrente e dell’appellante da una parte (per i quali era possibile l’utilizzo del servizio postale) e quella del resistente e dell’appellato dall’altra (per i quali era prevista la presentazione personale brevi manu) inducevano la giurisprudenza ad affermare il principio che anche la parte appellata può costituirsi in giudizio e proporre appello incidentale depositando l’atto di controdeduzioni od anche trasmettendolo in plico raccomandato ( Cass. 17953/2012)
A tale conclusione la giurisprudenza  perveniva  effettuando una interpretazione costituzionalmente orientata, nel rispetto degli artt. 3 e 24 della Costituzione, del principio della semplificazione al quale è improntato il processo tributario, nonché considerando la normalità dell’uso del servizio postale nei processi civile, amministrativo e contabile e, infine, per l’esigenza di evitare ostacoli culminanti in irragionevoli sanzioni di inammissibilità (v. Corte Cost. 189/2000).
Una volta affermato il principio della possibilità dell’utilizzo del servizio postale per la costituzione in giudizio dell’appellato si pose però il problema di individuare il termine per la tempestività della costituzione, problema al quale venne data corretta soluzione con l’indicazione del termine di spedizione condizionato alla ricezione da parte dell’ufficio della Segreteria della Commissione tributaria destinataria, essendo applicabile il generale principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione (Corte Cost. 477/2002) che governa il rispetto del termine di decadenza  in relazione agli atti processuali  trasmessi per posta (v. Cass.17953/12).
Dalla previsione che le controdeduzioni contenenti l’appello incidentale devono solo essere depositate nella Segreteria della CTR, e non notificate alla controparte, consegue che la loro conoscenza, da parte dell’appellante principale e delle altre eventuali parti del giudizio, è demandata unicamente alla diligenza delle stesse che devono attivarsi presso la Segreteria predetta per prenderne visione.
Per quanto concerne la legittimazione e l’interesse per la proposizione dell’appello incidentale non sussistono rilevanti differenze con l’appello principale poiché la prima compete al soggetto che sia stato parte nel giudizio di primo grado e il secondo alla parte che nel predetto giudizio sia risultata parzialmente soccombente.
In ordine agli elementi che deve contenere l’appello incidentale si rinvia all’art. 53 intitolato forma dell’appello, poiché trattasi degli stessi elementi previsti per l’appello principale, elementi la cui omissione determina l’inammissibilità dell’impugnazione.
Si ritiene tuttavia  che deve escludersi la grave sanzione dell’inammissibilità per l’omessa indicazione della sentenza impugnata nell’ipotesi che sia possibile individuare la sentenza predetta dal contenuto dell’atto di appello o per la omessa indicazione della CTR nell’ipotesi che l’appello sia comunque depositato presso la stessa.
Devono pertanto, a pena di inammissibilità, essere indicati: 1) la Commissione tributaria alla quale è diretto il gravame; 2) le generalità o la denominazione o ragione sociale della parte appellata o delle parti nei cui confronti l’impugnazione è proposta (ovvero di tutti i soggetti che hanno preso parte al primo grado di giudizio); 3) gli estremi  della sentenza (o delle sentenze in caso di appello cumulativo, ovvero di più sentenze rese tra le stesse parti); 4) l’esposizione sommaria dei fatti di causa (necessaria per consentire al giudice del gravame di comprendere i motivi dell’appello); 5) l’oggetto della domanda, ovvero i capi della sentenza di cui viene chiesta la riforma e che possono coincidere (si pensi ad es. ad una sentenza che abbia accolto solo in parte il ricorso del contribuente: l’A.F. avrà interesse alla conferma integrale del provvedimento opposto mentre il contribuente avrà interesse all’annullamento totale dello stesso) o essere diversi (si pensi ad un ricorso cumulativo ovvero avverso più provvedimenti di cui solo alcuni annullati dalla CTP: il contribuente avrà interesse alla riforma del capo della sentenza contenente la conferma dei provvedimenti mentre l’A.F. avrà interesse alla riforma del capo della sentenza contenente l’annullamento dei provvedimenti) da quelli  contestati con  l’appello principale; 6) i motivi specifici (e non generici) per i quali si rivolgono censure all’operato del primo giudice, che possono anche consistere nella riproposizione di quelli formulati in primo grado, non richiedendosi che siano nuovi  (v. Cass. 22510/2015 e 21972/2015) e che valgono a delimitare i limiti della domanda (tantum devolutum quantum appellatum), con la precisazione, però, che la proposizione di motivi meramente processuali è ammissibile solo se essi possono comportare, se accolti, la rimessione del processo al primo giudice ex art.59 (v. Cass. 2682/2015); 6) la sottoscrizione, sull’originale dell’atto, del difensore o della parte che sta in giudizio di persona ex artt. 18 e 12, essendo comunque sufficiente (in caso di assistenza del difensore) la firma del difensore sulla procura (v.Cass.21326/2006), firma che non deve essere illeggibile, a meno che le generalità del difensore non siano desumibili dal contenuto dell’atto.
Nell’ipotesi che l’appello incidentale sia ammissibile, in quanto proposto entro giorni sessanta dalla notifica dell’appello principale, ma proposto  successivamente alla scadenza del termine per l’appello principale, esso è considerato tardivo onde, ai sensi dell’art.334 c.p.c. (applicabile al processo tributario per il generico rinvio posto per le impugnazioni  dall’art.49), in caso di dichiarazione di inammissibilità dell’appello principale perde ogni efficacia.
E’ controverso in giurisprudenza, come già rilevato in precedenza (v. sub par.1), se sia o meno ammissibile la proposizione dell’appello incidentale nelle forme dell’appello principale,  ovvero  senza provvedere al deposito in segreteria delle controdeduzioni come disposto dall’art.54, ma  mediante notifica dell’atto all’appellante principale (per la tesi positiva v. Cass 26391/05, contra Cass. 12154/04).
E’ da ritenere condivisibile la tesi negativa poiché la lettera dell’art.54 induce a ritenere che l’ammissibilità è prevista non solo per il rispetto del termine, ma anche per il rispetto delle modalità di proposizione (deposito nella segreteria e non notificazione).
Tuttavia è da ritenere ammissibile la proposizione dell’appello incidentale mediante  la notificazione nell’ipotesi che questa sia effettuata prima che l’appellante incidentale abbia ricevuto la notifica dell’appello principale, del quale, quindi nulla poteva sapere. In tale evenienza si dovrà provvedere alla riunione dei processi ex art.335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni avverso la stessa sentenza.

4) La decadenza dell’appellato per le questioni non riproposte

Come si è già accennato in precedenza la decadenza dell’appellante incidentale per le questioni ed eccezioni non riproposte nelle controdeduzioni, contenenti i motivi di impugnazione, tempestivamente depositate  nella segreteria della CTR, risulta chiaramente dal combinato disposto degli artt.54, secondo comma, e 56 del Dlgs. 546/92.
Deve tuttavia essere rilevato che anche l’appellato che non sia appellante incidentale (in quanto totalmente vittorioso in primo grado)  pur non dovendo proporre appello incidentale per le questioni non accolte perché assorbite,  ovvero per le questioni sulle quali la sentenza abbia omesso ogni pronuncia,  ha comunque (come già evidenziato in precedenza sub par.2) l’onere di esporle in modo specifico al fine di evitare che esse si intendano rinunciate ex art.56, con conseguente formazione del giudicato interno.
L’esposizione da parte dell’appellato delle questioni non accolte nella sentenza deve essere fatta, a pena di decadenza, nell’atto di costituzione in giudizio che, come si è già detto, deve essere depositato nella segreteria della CTR nel termine non perentorio di giorni sessanta dalla ricezione della notifica dell’atto di appello, ex art.54, comma 1, che rinvia all’art.18.
Giova a questo punto una precisazione in relazione alla non perentorietà del termine per la costituzione dell’appellato.  
Se è pur vero infatti che la legge non commina la sanzione della decadenza per la violazione del termine previsto per la costituzione dell’appellato (che non sia appellante incidentale), devesi comunque rilevare: 1) che, ai sensi dell’art.32 (applicabile al giudizio di appello per il rinvio posto nell’art.61) è previsto che fino a giorni 10 prima dell’udienza di discussione le parti possono depositare  unicamente memorie illustrative (sono consentite brevi repliche fino a cinque giorni prima solo per la trattazione in camera di consiglio), onde dette memorie, in quanto meramente illustrative, non possono contenere questioni che non siano già state proposte nella memoria di costituzione la quale ultima, pertanto, se l’appellante si proponga di presentare una memoria illustrativa, deve necessariamente essere depositata prima del decimo giorno antecedente l’udienza di discussione (o del quinto giorno per il caso di trattazione in camera di consiglio); 2) che l’esplicita sanzione di inammissibilità prevista per l’indicazione dei motivi di gravame, sia per l’appellante principale che per quello incidentale, manifesta la chiara volontà del legislatore che la materia del contendere sia delimitata già dalla proposizione degli atti introduttivi del giudizio; 3) che il giudizio tributario è per sua natura improntato ai criteri della speditezza e della concentrazione, trattandosi di giudizio essenzialmente documentale e di tipo impugnatorio nel quale la decisione sul merito è delimitata dall’atto impugnato e dai motivi di impugnazione formulati nell’atto introduttivo (con l’unica prevista eccezione dei c.d. motivi aggiunti).
Gli indicati caratteri della celerità e speditezza del giudizio tributario giustificano pienamente l’esigenza che la materia del contendere sia esattamente delimitata sin dagli atti introduttivi del giudizio, onde la necessità  che anche la parte appellata riproponga nell’atto di costituzione (e non in eventuale atto successivo avente solo funzione illustrativa) le questioni non accolte che comunque integrano il c.d. thema decidendum, ovvero la materia del contendere (v. Cass. 26830/2014).
Si è discusso sulla possibilità per l’appellante principale, il cui appello sia stato dichiarato inammissibile, di proporre altra impugnazione, in presenza di appello incidentale tempestivo proposto dalla parte avversa, come appello incidentale rispetto al secondo.
Nonostante qualche decisione giurisprudenziale (Cass. 12154/2004) sembri affermare l’ammissibilità del predetto secondo appello purchè sia rispettato il termine per il deposito, è da ritenere esclusa la possibilità di una seconda impugnazione atteso il tassativo disposto dell’art.358 c.p.c. (principio della consunzione del diritto di impugnazione, applicabile al processo tributario ex art.49) che dichiara improponibile l’appello già dichiarato inammissibile o improcedibile, anche se non decorso il termine fissato dalla legge.

5) L’appello incidentale tardivo

Si è in precedenza (v. supra par. n.3) chiarito il concetto di appello incidentale tardivo precisandosi altresì quale ne sia la ragione giustificatrice. E’ però opportuno chiarirne ulteriori aspetti e problematiche.
Quanto alla ratio della disposizione (art.334 c.p.c., applicabile al processo tributario ex art.49) che considera ammissibile l’appello incidentale tardivo, concedendo così una rimessione in termini, ma ne condiziona l’efficacia a quella dell’appello principale, essa è da ravvisare nell’esigenza di salvaguardare la posizione della parte che, pur essendo risultata parzialmente soccombente, ritenga in un primo momento di prestare acquiescenza alla sentenza ma che, essendo successivamente venuta a conoscenza dell’appello (principale) della parte avversa (presentato poco prima della scadenza del termine per la notificazione ma notificato successivamente: scissione soggettiva della notificazione) ritenga di rivedere la propria decisione.  In tale ipotesi alla parte appellata è concesso il termine perentorio di giorni sessanta dalla ricezione della notifica per proporre l’appello incidentale, considerato tardivo, che  perde efficacia se viene meno quello principale (in difetto del quale l’appello incidentale non sarebbe stato proposto).
La ratio è da ravvisare altresì nell’esigenza di semplificazione e celerità della giustizia: non sono da  incoraggiare gli  appelli che presentino poche possibilità di accoglimento, onde è stato ritenuto opportuno che la parte interessata (appellante principale) sappia in precedenza che al suo appello, anche se presentato in prossimità della scadenza del termine previsto, potrebbe fare seguito un appello incidentale dell’avversario (che pure, in un primo momento era stato silente) che potrebbe anche peggiorare la situazione creata dalla sentenza di primo grado.
In ordine alla legittimazione processuale  va precisato che, per il rinvio posto dall’art.49 Dlgs 546/92 alle disposizioni del codice di procedura civile (Titolo III, capo I del libro II del c.p.c.) è applicabile, ai fini della legittimazione, l’art.334 c.p.c., onde legittimati per la proposizione dell’appello incidentale tardivo sono soltanto le parti contro le quali è stata proposto l’appello e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art.331 c.p.c., ovvero quelle che risultano dalla sentenza pronunciata in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti, inscindibilità o dipendenza che deve escludersi, con conseguente esclusione della possibilità di appello incidentale tardivo, nell’ipotesi che le cause abbiano diverso ambito oggettivo e soggettivo (Cass. 2785/2006).
Nel silenzio della legge è discutibile, invece, la sussistenza del limite predetto in ordine alla legittimazione passiva, ovvero in ordine alle parti nei cui confronti è possibile l’impugnazione incidentale tardiva.
Non vi sono limiti, invece, in ordine all’oggetto dell’appello incidentale tardivo che, come quello tempestivo, può concernere sia le stesse questioni proposte con quello principale sia questioni del tutto differenti, posto che, come in precedenza precisato, l’unica differenza tra l’appello incidentale tempestivo e quello tardivo risiede nella dipendenza del secondo da quello principale: se quello principale è dichiarato inammissibile quello incidentale tardivo perde efficacia ex art.334, secondo comma, c.p.c.
Una interessante questione si è posta con riferimento alla sorte dell’appello incidentale tardivo nell’ipotesi di dichiarazione di improcedibilità dell’appello principale.
Come si è detto in precedenza ai sensi dell’art.334, secondo comma, c.p.c (applicabile all’appello tributario per il rinvio posto dall’art.49) se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile quella incidentale tardiva perde ogni efficacia.
Orbene, premesso che l’inammissibilità dell’impugnazione principale costituisce causa sempre precedente o contemporanea alla notificazione, dottrina e giurisprudenza si confrontarono, con contrapposte tesi. sulla applicabilità del principio predetto anche ai casi di improponibilità (che consegue all’acquiescenza ex art.329 c.p.c.) o di improcedibilità, che sono entrambe cause  successive alla notifica dell’impugnazione e dipendono dall’attività di chi impugna.
La questione  trovò soluzione con la sentenza n.9741/2008 delle S.U. della Cassazione che, con decisione pienamente condivisibile, ritenne che anche le dichiarazioni di improcedibilità o di improponibilità dell’appello principale determinano l’inefficacia sopravvenuta dell’appello incidentale tardivo.
La decisione delle S.U. fu determinata da una attenta valutazione della ratio dell’impugnazione incidentale che viene proposta dalla parte che, pur essendo rimasta parzialmente soccombente in primo grado, ha accettato comunque  la sentenza, ritenendosi soddisfatta dell’esito del giudizio, ed ha pertanto fatto decorrere i termini di cui agli artt.325 e 327 c.p.c. per l’impugnazione.
La ratio, come si è già detto,  viene ravvisata nella esigenza di tutelare l’interesse della predetta parte che, venuta successivamente a conoscenza dell’impugnazione principale, non può che proporre l’impugnazione (incidentale tardiva) sia per evitare che i capi della sentenza a lei sfavorevoli passino in giudicato  sia per evitare che venga accolta l’impugnazione principale avverso i capi a lei favorevoli.
Da tanto, affermarono le S.U., consegue logicamente che se viene meno l’impugnazione principale, perché inammissibile o anche perché improponibile o improcedibile, viene meno anche l’interesse della parte, che ha proposto l’impugnazione incidentale tardiva, al mantenimento della stessa, poiché viene assicurato il passaggio in giudicato della sentenza di cui essa già non aveva ritenuto di dolersi in un primo momento.
Dopo che il principio di dipendenza funzionale dell’appello incidentale tardivo da quello principale era stato esteso anche alle ipotesi di improcedibilità ed improponibilità dell’appello principale, si pose il problema della possibilità di estenderlo anche all’ ipotesi di rinuncia all’appello principale.
La questione fu a lungo dibattuta, sia nella dottrina che nella giurisprudenza, poiché la tesi favorevole alla estensibilità, pur dando atto che la legge menziona solo la inammissibilità, faceva prevalentemente leva sulla stretta dipendenza, imposta dal legislatore con l’art.334 c.p.c., dell’appello incidentale tardivo da quello principale.
Con sentenza n.8925 del 2011 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con argomentazioni pienamente condivisibili, ritennero che la rinuncia all’impugnazione principale non influisce sulla efficacia di quella incidentale tardiva.
La diversificazione degli effetti sull’appello incidentale tardivo della inammissibilità (alla quale, come già detto, sono da equiparare la improcedibilità e la improponibilità) dalla rinuncia trova la causa giustificatrice essenzialmente nella fonte e nel momento di insorgenza.
Invero mentre l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’improponibilità costituiscono vizi genetici dell’impugnazione che, in quanto tali, comportano la carenza del presupposto di fatto (costituito dalla esistenza di una valida ed efficace impugnazione principale) che legittima la rimessione in termini della parte che, pur essendo parzialmente soccombente, si era comunque dimostrata soddisfatta dell’esito del primo giudizio, nel caso di rinuncia all’appello principale si versa nella diversa ipotesi in cui l’impugnazione principale diventa inefficace per cause successive alla sua proposizione e imputabili unicamente alla volontà della parte.
Se si consentisse all’appellante principale di elidere, con la sua rinuncia all’appello, anche l’appello incidentale tardivo si consentirebbe allo stesso di determinare con la sua esclusiva volontà, ovvero si rimetterebbe al mero arbitrio dello stesso, l’esito dell’impugnazione incidentale tardiva, in tal modo favorendosi tattiche difensive quantomeno scorrette: all’appellante principale sarebbe consentito di attendere di conoscere il contenuto dell’appello incidentale tardivo per decidere se accettare o meno il secondo giudizio.
Ulteriore argomentazione può rinvenirsi considerando, in via analogica, quanto previsto dalla legge per  la rinuncia al ricorso di primo grado che, ex art.44 Dlgs 546/92, non produce effetto se non è accettata dalle parti costituite che abbiano interesse alla prosecuzione del giudizio: anche la rinuncia all’appello non deve produrre effetto senza la volontà dell’appellato appellante incidentale, tempestivo o tardivo che sia, dopo che il rapporto processuale si sia validamente costituito.
Per ultimo si rileva che deve considerarsi inammissibile l’appello incidentale tardivo (o anche, se pure eccezionalmente, tempestivo) proposto dalla parte che già abbia proposto appello principale successivamente alla proposizione dalla parte avversa di appello incidentale (tempestivo o tardivo che sia), poiché, per effetto del principio della unità e non frazionabilità, il diritto di impugnazione si consuma una volta che sia stato esercitato.
Nella detta ipotesi non può essere invocato il disposto di cui all’art.334 c.p.c. che è dettato solo in favore della parte che, prima dell’iniziativa dell’altro contendente, abbia scelto di accettare la sentenza di primo grado (Cass. 7272/1997).     

Giuseppe Di Nardo
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